31/01/2011, 00.00
MEDIO ORIENTE
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Laicità, globalizzazione e povertà mettono in crisi gli Stati arabi

di Simone Cantarini
L’Egitto, il più importante degli Stati arabi rischia di crollare sotto il peso delle rivolte sociali. Altri Paesi arabi come Giordania, Siria e Yemen rischiano la stessa sorte. Francesco Zannini, esperto di Islam del Pisai spiega ad AsiaNews le ragioni delle rivolte, insite nella formazione degli Stati arabi e nella giustapposizione di modello occidentale di democrazia e islam. Per lo studioso la natura laica delle rivolte è un’occasione di cambiamento e anche una buona possibilità per i cristiani egiziani di inserirsi nella società.
Roma (AsiaNews) – L’ondata di rivolte sociali iniziate in Tunisia a metà gennaio, si è scatenata anche in Egitto, Giordania, Siria e Yemen. Al Cairo, Alessandria e in altre città egiziane dal 25 gennaio centinaia di migliaia di persone continuano a presidiare strade e piazze, chiedendo le dimissioni del presidente Hosni Mubarak. Il raiss, da trent’anni al potere, non dà cenni di cedimento e in questi giorni ha promesso riforme e un nuovo esecutivo, ma intanto ha tagliato tutte le comunicazione internet e schierato l’esercito. Dall’inizio delle proteste circa 150 persone sono morte negli scontri. Al momento ad Amman, Sana’a e altre città arabe la situazione resta sotto controllo e non si registrano gravi scontri.  

 Quale sarà il futuro delle delle proteste? In Egitto e negli altri Paesi gli estremisti islamici cavalcheranno la crisi istituzionale? Vi sarà un effetto domino anche nel resto del mondo islamico? AsiaNews ha chiesto a Francesco Zannini, esperto di islam e docente presso il Pontificio Istituto di studi arabi e di islamistica (Pisai), quali sono le ragioni che hanno scatenato delle rivolte. Secondo lo studioso, globalizzazione, crisi economica e svuotamento del fondamentalismo islamico hanno concorso a generare quella che appare come una vera e propria crisi degli Stati Arabi.        

“Non si può considerare il mondo arabo, paragonandolo a quello occidentale – afferma Zannini - la democrazia in Occidente si è forgiata a partire dal XVI secolo. Cinque secoli in cui attraverso esperimenti, fallimenti e rivoluzioni si è giunti alle forme democratiche odierne e alla dichiarazione dei diritti universali dell’uomo. Il mondo arabo ha dovuto fare questo percorso in circa 50 anni. Questo è un elemento molto importante, che spiega la crisi degli Stati arabi e le recenti rivolte”.

Come altro fattore legato alla crisi attuale dei Paesi islamici Zannini individua la creazione degli Stati nazionali. “Essa – spiega - è avvenuta in modo molto veloce e con una divergenza di vedute fra governanti e governati. Le rivoluzioni che hanno portato all’indipendenza degli Stati arabi sono state realizzate da leadership laiche, che poi hanno governato su popolazioni ancora profondamente legate alla religione”. Secondo l’islamologo è questa divergenza ad aver creato, già in passato, una base per i conflitti, soprattutto nei casi in cui il governo laico non è più stato in grado di mantenere le promesse.  

“In Egitto – continua - il passaggio dal dominio turco alla democrazia è stato un passaggio solo formale. Ai vecchi padroni feudali si sono sostituiti i capi politici, al vassallaggio si è sostituito il clientelismo. Ora in molti Paesi islamici governano una serie di ‘monarchi’ che dominano secondo regole feudali tipiche del mondo arabo”. Zannini ricorda che “in questi Stati, le elezioni sono solo una pura formalità e i circoli di potere sono legati a un partito unico, o a gruppi dominanti”.

Il ruolo dell’Occidente in sostegno ai regimi

In questi ultimi anni un altro fattore fondamentale è stato il ruolo del mondo occidentale. Zannini dice che l’Occidente “è entrato nei Paesi islamici attraverso il neocolonialismo economico  e ne ha sostenuto  i leader politici. La sua eccessiva ingerenza ha creato una situazione instabile sul piano economico e sociale”. “E’in questo humus – sottolinea lo studioso - che è nato il fondamentalismo islamico”.

“I primi che hanno cavalcato questa instabilità – continua - sono stati, infatti, i fondamentalisti. Essi hanno imposto i principi di un islam utopico come alternativa al capitalismo e ai socialismi di massa, cavalcando il malcontento della popolazione. Gli estremisti si sono scagliati contro l’occidente sfruttatore, colpevole di aver contribuito alla nascita di una società islamica non egualitaria e diversa da quella descritta nel Corano”. Secondo lo studioso, il fondamentalismo non è riuscito a cambiare nulla a livello politico, ma ha influenzato solo le masse, con qualche successo in Sudan e in alcuni Paesi asiatici.

Zannini sottolinea che a tutt’oggi “l’unico ad aver ottenuto dei risultati è stato Khomeini”. “Durante il regime dello scia – afferma - l’ayatollah iraniano ha cavalcato lo scontento popolare di natura sociale. Chi ha fatto cadere Mohammad Reza Pahlavi è stata l’opposizione intellettuale socialista e comunista, la prima a criticare con forza il regime. Khomeini, grazie al suo carisma, ha saputo sfruttare l’ideale socialista amalgamandolo con la religione islamica”.  Secondo Zannini la popolazione non avrebbe accettato l’ideale religioso senza la spinta del socialismo già presente e radicato nel mondo intellettuale e borghese.

Globalizzazione e laicità, la crisi del fondamentalismo islamico

Fatta eccezione per l’Iran, secondo Zannini il progetto dell’islam radicale di imporre a livello politico i principi del Corano come guida alla rinascita dei Paesi arabi ha subito negli anni un forte logoramento, soprattutto a causa della deriva terroristica.

“L’idea proposta dai radicali islamici – afferma lo studioso - non ha solide radici nella cultura musulmana tradizionale ed è solo un tentativo ideologico e concreto di risposta al mondo contemporaneo. A differenza delle grandi filosofie, come ad esempio il marxismo, il fondamentalismo islamico non si potrà evolvere in altre forme, proprio perché è legato a una situazione particolare. Infatti, ha avuto successo a livello sociale e culturale, ma ha fallito sul piano politico, dove si è dovuto adattare per trovare consensi, mutando la sua natura rigida”. Zannini sottolinea che dopo il successo di Khomeini, l’ideologia fondamentalista islamica si trova ora senza sbocchi. “Il primo elemento – afferma - è l’assenza di un leader in grado di incarnare i valori islamici. Il secondo è l’eccessiva estensione del campo di azione che coinvolge, di fatto, gran parte dei Paesi islamici. Il terzo elemento è la globalizzazione mediatica e culturale”.

Secondo  Zannini gli studenti e la media borghesia, pur restando legati alla religione, stanno assorbendo i principi di laicità grazie ai media e internet, che modificano la loro concezione anche in modo inconsapevole. “Questo aspetto - sottolinea - è molto importante perché i principi laici, oltre a separare religione e Stato, scalzano via il leader. Esso rappresenta nella cultura islamica la continuità spirituale e tradizionale con il profeta a cui la popolazione deve obbedire”. “In passato – continua - molti leader politici si sono fatti appoggiare dai mullah, che attraverso il Corano consentivano loro di mantenere il potere. Oggi la laicità entrata grazie alla globalizzazione ha il potere di rompere l’alone di invulnerabilità di comanda”.

La fragilità politica e istituzionale degli Stati islamici

La struttura delle Nazioni musulmane è poco chiara fin dalle origini. Lo studioso fa notare che i Paesi islamici sono nati con delle costituzioni miste, dove vi è solo una giustapposizione di pezzi di sharia e pezzi di diritto occidentale, molto diverse da quelle europee frutto di una lenta fusione del cristianesimo con le filosofie laiche. “Anche il concetto di nazione - aggiunge - è giustapposto alla religione islamica, al concetto sacrale dello Stato. La leadership che ha portato all’indipendenza degli Stati arabi ha reinterpretato la struttura dell’islam in chiave nazionalista”.  

Per lo studioso questa confusione ha generato una serie di problematiche istituzionali, di rapporto tra elementi laici e religiosi, di gestione del potere politico ed economico, che hanno fatto fallire sia i regimi nazionali, che le spinte fondamentaliste. A esse si aggiungono in questi ultimi anni la crisi economica e la presa di coscienza da parte della popolazione di essere governati da leadership corrotte che si arricchiscono alle loro spalle. Zannini dice che tutti questi hanno concorso a creare le rivolte scoppiate in Tunisia e in Egitto.  

Il rischio di un effetto domino. Il futuro delle rivolte

I Paesi islamici sono secondo l’islamologo simili a montagne fragili che rischiano di crollare una dopo l’altra, come in un domino. “In Tunisia - afferma - la gente non si è limitata a manifestare, ma ha diffuso le proprie idee su siti internet, facebook e altri social network, influenzando le popolazioni degli altri Stati, fino allo Yemen”.     

Il futuro delle rivolte è però incerto e non è possibile comprendere come si evolveranno. Zannini spiega che “ora la situazione è simile all’esplosione di un vulcano, il problema arriverà quando le ceneri si saranno sedimentate. Chi sarà il nuovo leader in Tunisia? Nel caso di una caduta di Mubarak sarà capace El Baradei di dirigere l’Egitto?”

Nonostante le incertezze, questa situazione di crisi potrebbe però dare delle speranze al mondo cristiano. “In Egitto – continua - l’eventuale superamento della contrapposizione tra musulmani e copti, legata più a ragioni culturali che religiose, darebbe ai cristiani la possibilità di una maggiore partecipazione nella società”.  

Altro scenario è legato all’entrata in gioco degli estremisti islamici, che hanno già iniziato a cavalcare le proteste, ma secondo Zannini essi sono frenati dall’erosione stessa del fondamentalismo, che ha ridotto la sua influenza sulla popolazione. “Nei momenti di confusione – sottolinea - vi possono essere sempre dei pericoli e al Qaeda potrebbe approfittare della crisi”.  

In questo scenario, il ruolo dell’Occidente è ormai molto ridotto.  Secondo Hussein Majdoubi, giornalista marocchino del quotidiano al-Quds al-Arabi, scommettere sui Paesi occidentali è divenuto ormai una pura “fantasia politica”. Egli sottolinea che il mondo islamico deve poter iniziare da sé il proprio cambiamento. “L’assenza di un’alternativa ai regimi – conclude Zannini - e la natura troppo spontanea delle proteste, rischiano però di spegnere la tensione verso il cambiamento e il frutto delle manifestazioni si potrà vedere solo nel lungo periodo”. 

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