10/11/2023, 13.15
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Lavoratori indiani al posto dei palestinesi nel settore edile? Per ora nulla di certo

A inizio mese il vice presidente dell'Associazione dei costruttori edili israeliani aveva dichiarato di essere in attesa di una decisione del governo dello Stato ebraico per "importare" dai 50 ai 100mila indiani. Le affermazioni al momento non sono state confermate da Delhi, però accordi di questo tipo sono stati negoziati in diversi mesi e in anni recenti hanno convolto anche i cinesi. Nel frattempo però il settore continua a essere il più pericoloso, mentre l'India, stringendo sempre più i legami con Israele, ha vietato le proteste pro-Palestina in Kashmir.

New Delhi (AsiaNews) - Israele sta forse cercando di sostituire con 100mila indiani i lavoratori palestinesi del settore delle costruzioni, dopo lo scoppio della guerra contro Gaza? Non è chiaro: Arindam Bagchi, portavoce del ministro degli Esteri, ieri ha dichiarato di non essere a conoscenza di nessuna richiesta specifica da parte dello Stato ebraico in questo senso, spiegando che, al contrario, trattative per iniziative di questo tipo sono in corso dal 2022, ma sono state condotte avendo in mente un orizzonte temporale a lungo termine.

A inizio mese in un servizio di Voice of America, Haim Feiglin, vice presidente dell’Associazione dei costruttori edili israeliani, aveva dichiarato che il settore stava “aspettando una decisione da parte del governo israeliano” riguardo ad un accordo con l’India per assumere “da 50 a 100mila lavoratori indiani” per sostituire circa 90mila lavoratori palestinesi e “poter gestire tutti i comparti e riportare la situazione alla normalità”. Nel settore delle costruzioni, infatti, il 57,4% della forza lavoro è composta da palestinesi, i cui permessi di impiego sono stati sospesi dopo l’attacco da parte di Hamas contro Israele lo scorso 7 ottobre.

Secondo la testata indiana The Wire, che dice di aver contattato fonti ben informate riguardo alla questione, gli accordi tra i due Paesi sono ancora in una fase preliminare e riguarderanno 15mila lavoratori indiani che dovranno far fronte alla carenza di manodopera palestinese. Pare però che nulla sia stato ancora finalizzato.

I primi accordi tra Delhi e Tel Aviv per portare lavoratori indiani in Israele risalgono in realtà a maggio di quest’anno: all’inizio di quel mese il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, aveva firmato con l’omologo indiano, Subrahmanyam Jaishankar, un memorandum per “importare” circa 42mila lavoratori, di cui 34mila sarebbero stati destinati all'edilizia e 8mila all'assistenza agli anziani.

E infatti ieri, anche Arindam Bagchi ha ribadito che un numero di indiani già presenti in Israele è impiegato in questi settori: “Stiamo tenendo negoziati stipulare accordi sulla mobilità con un certo numero di Paesi”, ha ricordato inoltre il portavoce del ministero degli Esteri, citando il recente accordo sulla mobilità e sulla migrazione (Migration Mobility Partnership Agreement) siglato da India e Italia durante la visita del ministro Jaishankar a Roma la settimana scorsa.

Come nel caso italiano, gli accordi con Israele sulla circolazione dei lavoratori sono un approfondimento di già esistenti relazioni bilaterali che si stanno facendo sempre più strette: negli ultimi giorni è stato infatti vietato di tenere proteste a sostegno della Palestina nella regione a maggioranza musulmana del Kashmir. Il leader locale della resistenza anti-indiana, Mirwaiz Umar Farooq, ha raccontato di essere stato posto agli arresti domiciliari ogni venerdì (giorno sacro nell’Islam) dall’inizio della guerra a Gaza. Allo stesso modo non sono state consentite le preghiere del venerdì nella moschea di Srinagar, la principale città del Kashmir. Uno sviluppo che fa seguito a passate dichiarazioni di funzionari indiani, i quali avevano elogiato le politiche israeliane in Cisgiordania come modello da riprodurre anche nella regione himalayana contesa con il Pakistan.

Secondo le testate israeliane locali, alcuni funzionari israeliani avevano visitato a marzo i centri di formazione indiani, descrivendo i lavoratori locali come diligenti, esperti e fluenti in inglese, quasi a rimarcare una differenza rispetto ai cinesi, i primi, in anni recenti, a prendere il posto dei palestinesi nel settore edile. Secondo i dati più recenti del ministero del Commercio cinese, alla fine del 2020 si trovavano in Israele almeno 8.206 lavoratori provenienti dalla Cina, dopo nel 2017 Pechino e Tel Aviv avevano firmato un accordo bilaterale per aumentare la trasparenza del settore. Migliaia di cinesi si erano infatti ritrovati a lavorare in Israele in condizioni di sfruttamento, ma secondo gli attivisti anche in seguito agli accordi i cinesi hanno continuato ad affrontare “condizioni di lavoro precarie”.

Il settore edile è il più pericoloso in Israele: un rapporto dell’associazione no-profit per i diritti dei lavoratori Kav LaOved ha evidenziato che nella prima metà del 2023 almeno 40 persone sono morte in incidenti sul lavoro, di cui circa la metà sono nei cantieri, con un aumento del 40% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. 

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