08/09/2025, 11.18
CINA
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Le accuse all'abate del tempio Shaolin e il controllo di Pechino sulle religioni

di Andrew Law

Sui social media cinesi non si spegne l'eco della rimozione del monaco, a cui vengono attribuiti scandali. Ma i bilanci del tempio restano coperti da "segreto di Stato". L'incontro non autorizzato con papa Francesco sarebbe stato solo la "linea rossa" superata, in uno scontro che andava avanti da ormai vent'anni sulle attività economiche dei monaci Shaolin. Con vizi privati che emergono solo quando si perde l'appoggio politico. 

Pechino (AsiaNews) - Come leader religioso cinese con un’ampia influenza internazionale, le vicende personali di Shi Yongxin offrono una prospettiva unica per comprendere lo status e le sfide della religione in Cina nella società contemporanea. Lo scandalo che lo riguarda continua a suscitare forti reazioni nel Paese. Qualche giorno fa un avvocato del Jiangsu ha richiesto che il tempio Shaolin rendesse pubblici i suoi bilanci del 2023 e 2024, in base al “Regolamento sulla gestione finanziaria dei luoghi di attività religiosa”. Ma la risposta dell'Ufficio per gli Affari Religiosi e delle Minoranze Etniche del governo locale è stata che quei bilanci sono “segreto di Stato”. Una dichiarazione che ha sollevato ulteriori dubbi sulla verità del caso, scoppiato l’ultima domenica di luglio. Shi Yongxin è accusato di appropriazione indebita di beni del tempio e relazioni improprie con diverse donne. L’Associazione Buddhista Cinese ha revocato ufficialmente i suoi documenti monastici, espellendolo dalla comunità religiosa. Il tempio ha nominato Maestro Yinle come nuovo abate, dopo una votazione interna. 

Queste misure drastiche sembrano segnare la fine di un mistero che durava da oltre sei mesi. Il 1 febbraio, Shi Yongxin incontrando papa Francesco senza approvazione ufficiale, avrebbe violato le regole diplomatiche cinesi. C’è chi sostiene che abbi così superato una “linea rossa politica”, portando alla sua rimozione da tutti gli incarichi al rientro in patria. Le sue pubblicazioni e contenuti online sono stati successivamente rimossi. Ma è probabile che questa decisione fosse stata pianificata da tempo: non deve essere stata una reazione d’urgenza.

A fine gennaio 2025, il tempio Shaolin ha ospitato il primo Forum sulla fratellanza del futuro, insieme a organizzazioni internazionali. Poi, a inizio febbraio, Shi Yongxin ha partecipato ad Abu Dhabi alla sesta edizione del Premio Zayed per la fratellanza umana, istituito dopo l’incontro del 2019 tra il Papa e il Grande Imam d’Egitto. In questo quadro l’incontro con Papa Francesco il 1° febbraio sembrava naturale. Da una prospettiva razionale, avrebbe dovuto essere accolto positivamente: rappresentava un’occasione per la “religione cinese di uscire nel mondo” e mostrare il soft power culturale del Paese. Tuttavia, l’entusiasmo si è scontrato con il muro della diffidenza politica.

Un accademico ha spiegato che - sebbene molti pensatori abbiano suggerito che stabilire relazioni diplomatiche con il Vaticano sarebbe vantaggioso - i leader cinesi restano cauti. Temono che un’espansione dell’influenza religiosa, specie da parte di realtà organizzate come il cattolicesimo, possa minare la legittimità del potere. Il cosiddetto “paradosso di Tocqueville” - secondo cui la prosperità può generare rivoluzione - è un pensiero ancora vivo tra i decisori politici. Di conseguenza, le attività religiose internazionali sono sempre più soggette a controllo e limitazioni.

Dal caso del maestro Xuecheng (accusato di violenza sessuale nel 2018) fino allo scandalo di Shi Yongxin, una serie di scandali ha colpito la reputazione del buddhismo in Cina. L'Associazione Buddhista Cinese ha subito preso le distanze da Shi Yongxin, affermando che ha “macchiato l'immagine dei monaci” e ha danneggiato l'intero ambiente religioso. Ma la domanda resta: se Shi Yongxin ha violato regole per così tanto tempo, i leader religiosi non hanno alcuna responsabilità? Dov'è la supervisione interna?

In modo un po’ crudele, l’Associazione Buddhista ha anche criticato la strategia di Shi di costruire il marchio Shaolin attorno al kung-fu, ricordando che “Shaolin è prima di tutto zen, non arti marziali”. Tuttavia, va ricordato che, durante la Rivoluzione Culturale, il tempio fu quasi distrutto. Quando Shi entrò come novizio nel 1981, c’erano meno di dieci monaci anziani. Dopo il boom del film “Shaolin Temple”, Shi Yongxin promosse la fusione tra zen e kung-fu, fondò oltre 200 centri culturali all’estero e rese il tempio Shaolin famoso nel mondo.
Non si può negare che il kung-fu Shaolin, patrimonio culturale immateriale nazionale, sia la base del suo impero commerciale, e il ruolo di Shi come “CEO in tonaca” è stato decisivo. Dal punto di vista della comunicazione religiosa, utilizzare le arti marziali per avvicinare il pubblico al pensiero zen è stato un colpo di genio. Negli ultimi mesi, Shaolin era arrivato a dialogare con il Vaticano e l’ONU. Chi, nel buddhismo cinese, può dire di aver ottenuto risultati simili?

La notizia dell’indagine su Shi Yongxin ha scatenato una vera e propria euforia sui social media. Meme e battute hanno spopolato. Ma la discussione online ha sollevato anche interrogativi seri: la gestione del tempio, le relazioni Stato-religione, la giustizia, la trasparenza e il diritto all’informazione. L’Ufficio di Gestione del Tempio Shaolin non è un organo religioso: i monaci non possiedono la terra né gli edifici, possono solo gestire gli affari religiosi. Questo riflette l’assoluto controllo statale sui luoghi di culto. Le accuse di oggi sono simili ad altre avanzate nel 2015 contro Shi Yanlu. Allora vennero archiviate. Ma se erano fondate, chi ha insabbiato tutto? Come nella logica delle epurazioni politiche: i peccati privati emergono solo quando si perde l'appoggio politico. E il rifiuto di pubblicare i bilanci per motivi di “segreto di Stato” è visto come un pretesto per nascondere la verità. Secondo la legge, infatti, i templi dovrebbero rendere pubblici i propri conti. Alcuni sospettano anche che il caso Shi sia stato usato per deviare l’attenzione da scandali peggiori come l’avvelenamento da piombo in una scuola dell’infanzia a Tianshui, le alluvioni, o il mancato svolgimento del Quarto Plenum del XX Congresso.

Il nodo principale resta comunque la lotta per il controllo tra il tempio con le sue attività anche economiche e le autorità locali. Già negli anni '90, un’azienda usò il nome Shaolin per una marca di salsicce. Il tempio fece causa e vinse. Fu nel 1998 che Shi Yongxin fondò una società per registrare oltre 600 marchi legati a “Shaolin”. Alcuni dicono che non fu nemmeno lui a voler commercializzare il tempio, ma che fu “costretto” dalle circostanze. Con 3 milioni di visitatori l’anno e 300 milioni di yuan in biglietti, la disputa sui profitti era inevitabile. Nel 2005 fu concordato che il 70% dei ricavi andasse al governo e il 30% al tempio. Nel 2014 il tempio citò in giudizio le autorità per il mancato pagamento. Nel 2009, le autorità volevano quotare in borsa la società di gestione del sito, ma Shi si oppose fermamente. Alla fine, vinse lui.

Dopo vent'anni, i problemi restano irrisolti: chi possiede davvero il tempio Shaolin? Con la caduta di Shi Yongxin, accusato di aver varcato la “linea rossa politica”, e la pulizia ideologica in atto, il tempio è stato “normalizzato”. Ma dietro le quinte, i veri burattinai stanno solo aspettando il momento giusto per muovere la prossima pedina.

 

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