11/11/2010, 00.00
CINA
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Le autorità locali cessino gli espropri forzosi delle terre rurali

Duro monito di Pechino, ma esperti osservano che simili richiami spesso non hanno esito. La terra coltivata basta appena per l’autosufficienza interna. Analisti: per ottenere giustizia sociale, bisognerebbe ascoltare le proteste della gente. Han Dongfang racconta una vicenda “esemplare”.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Pechino ammonisce le autorità locali a cessare gli espropri forzati dei rurali dalle loro terre, spesso con miseri indennizzi, per cedere le aree a insediamenti industriali e lottizzazioni di nuovi moderni centri abitati.

Da tempo il governo centrale chiede alle autorità locali di rispettare i diritti economici dei cittadini, primaria causa delle oltre 87mila proteste di massa che esplodono ogni anno. La dura posizione presa ieri dal Consiglio di Stato mostra che il monito rimane spesso senza esito. Il sito web del governo centrale riporta che il premier Wen Jiabao ha rilevato esserci “problemi che richiedono interventi urgenti”, perché i governi locali continuano a espropriare terre per espandere le piccole città di provincia.

In zone come il Jiangsu orientale e lo Shandong le autorità hanno addirittura cercato di forzare i contadini a lasciare terre e case e trasferirsi in grossi insediamenti popolari, per avere spazio per industrie e nuovi quartieri.

Da anni Pechino indica che bisogna preservare almeno 120 milioni di ettari di terra agricola, ritenuto il minimo per l’autosufficienza alimentare del Paese. Il ministro di Terre e Risorse dice che il limite è vicino, con 121,7 milioni di ettari agricoli alla fine del 2009. Secondo alcuni studi, per il 2040 la popolazione urbana crescerà di oltre 400 milioni, con circa 15 milioni annui di nuovi residenti nelle città.

Analisti osservano che Pechino non riesce a controllare le autorità locali anche perché non concede adeguato spazio agli esposti dei rurali, spesso perseguitati dalla polizia per impedire loro di fare petizioni alle autorità centrali.

Il noto sindacalista e difensore dei diritti Han Dongfang ha riportato sul China Labour Bullettin il caso del Ranch Sha Wozi nella Mongolia Interna, fattoria statale con migliaia di dipendenti, ciascuno dei quali aveva un proprio pezzo di terra e allevava bestiame. Nel 2000 i dirigenti hanno iniziato a vendere la terra, in lotti di 480 mu (circa 32 ettari) a circa 5mila yuan per lotto.

Ala prima protesta  nel 2004, i contadini affermarono che “i funzionari hanno preso la nostra terra, senza chiederlo o seguire qualsiasi procedura [legale]”, altri rivendicarono il diritto alla pensione dopo una vita di lavoro. All’inizio alcuni funzionari sostennero le proteste. Poi 2 dirigenti, un segretario e 4 funzionari di medio-livello furono stati rimossi e il controllo dell’area fu trasferito alle autorità della città di Xilinhot.

Le proteste sono rimaste senza esito. Le vendite sono continuate. La terra non è stata più coltivata dai nuovi acquirenti. Il vento ha spazzato via pascoli e coltivazioni, lasciando solo terra non più coltivabile.

Una donna ha presentato una petizione ed è stata arrestata per avere “falsificato le sottoscrizioni”. Oltre 150 lavoratori sono andati a dire che le firme erano autentiche, ma la donna è stata condannata nel giugno 2007 a 7 mesi di rieducazione-tramite-lavoro, veri lavori forzati comminati per via amministrativa. Nel 2008, prima delle Olimpiadi di Pechino, è stata di nuovo arrestata per timore che potesse fare proteste, ed è stata 4 mesi in un carcere ancora più duro, perché tenuta in isolamento totale.

Rilasciata, ha fatto causa per far dichiarare illegale il suo arresto. La domanda dapprima è stata “smarrita” per mesi. Poi il tribunale ha respinto la domanda, come pure è stato respinto l’appello.

“I tribunali – commenta lei ad Han – non possono decidere… Non hanno nessuna autorità… Ignorano ogni prova”. “Le corti locali dipendono dal governo”.

Timorosa per la sua sicurezza, la donna dice che ora vive nascosta e continua la sua protesta su internet.

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