Le due velocità dell'economia di guerra russa
Il settore legato alle forniture militari cresce e prospera con continui flussi di risorse, materie prime, finanze e tecnologie. Le aziende medio-piccole e il ramo dei consumi devono fare i conti con le restrizioni dovute alle sanzioni, all’aumento delle tasse e all’accesso limitato ai capitali. L'economia di Mosca si è già radicata in un modello che anche in futuro non sarà facile cambiare.
Mosca (AsiaNews) - Il presidente russo Vladimir Putin prosegue imperterrito sulla linea della militarizzazione dell’economia russa, senza farsi fermare dalle sanzioni internazionali, dall’inflazione sempre molto alta, con un conseguente abbassamento del livello di vita della popolazione e squilibri strutturali sempre più evidenti. Il piano del Cremlino indica come priorità il continuo riarmo dell’esercito e il riempimento degli arsenali, che richiede una produzione di armamenti sempre più intensa almeno per i prossimi tre anni.
Se anche si volesse tornare indietro a un’economia “pacifica”, ormai non sarebbe possibile nel breve periodo, e neanche in tempi più lunghi, come afferma la specialista del Centro Carnegie di Berlino per la Russia e l’Eurasia, Aleksandra Prokopenko, in una ricerca pubblicata dal sito Meduza. In essa si documenta come negli ultimi tre anni in Russia si sia sviluppata una “economia a doppia velocità”, con il settore legato alla guerra che cresce e prospera con continui flussi di risorse, materie prime, finanze e tecnologie. Dall’altra parte il settore privato, le aziende medio-piccole e il ramo dei consumi devono fare i conti con restrizioni artificiose dovute alle sanzioni, all’aumento delle tasse e all’accesso limitato ai capitali.
Questo meccanismo crea un effetto di "aspirapolvere economico": le risorse vengono ridistribuite dai settori a bassa priorità a quelli strategicamente importanti, consentendo allo Stato di concentrare i fondi su aree chiave, ma creando squilibri strutturali. Ciò è evidente, ad esempio, nelle statistiche sulla produzione di prodotti metallici, che includono armi e munizioni: la produzione di questo gruppo di beni è cresciuta a tassi a due cifre dall'inizio della guerra, mentre la produzione di beni non militari è in calo.
L'eccessiva militarizzazione e il protezionismo imposti dal Cremlino sono i principali motori della domanda nell'economia. La domanda dei consumatori è limitata dall'inflazione; la domanda di investimenti privati viene soppiantata dalla spesa pubblica. L'economia si è già radicata in un modello in cui le rendite militari svolgono essenzialmente, per alcune aziende e categorie di cittadini, la stessa funzione che la manna proveniente dal petrolio e dal gas aveva negli anni 2000. La differenza è che allora i proventi in eccesso, derivanti dalle materie prime, entravano nell'economia dall'esterno e venivano in gran parte ridistribuiti attraverso il bilancio, creando contemporaneamente domanda di beni di consumo e investimenti. Ora invece lo Stato finanzia la guerra con gli stessi proventi derivanti dalle materie prime, sebbene significativamente ridotti. Queste spese servono alla produzione di carri armati, droni e proiettili distrutti in Ucraina, nonché alle indennità di sussistenza e di morte per il personale militare.
Il commercio estero rimane positivo, ma petrolio e gas vengono venduti a un prezzo notevolmente scontato e la geografia delle forniture, sotto l'embargo occidentale, si è spostata verso l'Asia e il Sud del mondo, offrendo ai nuovi acquirenti una potente leva negoziale. Le importazioni sono limitate dalle sanzioni, aumentando i costi aziendali e riducendo la sofisticazione tecnologica della produzione. Il conto capitale è chiuso: sono in vigore normative sulla vendita dei proventi delle esportazioni (nel 2023, gli esportatori erano tenuti a venderne il 90%; questo requisito è stato ora azzerato, ma non abolito) e sono in vigore restrizioni normative sui deflussi di capitali. Formalmente, il saldo è stabile, ma ciò è dovuto a un rigoroso supporto amministrativo piuttosto che alla flessibilità economica.
L'industria della difesa russa assorbe quasi l'8% del Pil, e ridurre la spesa militare senza causare un collasso economico sarebbe possibile solo se venissero rigorosamente soddisfatte alcune condizioni. Anzitutto le minacce esterne devono davvero scomparire, con garanzie di sicurezza che soddisfino lo stesso Putin. Quindi si dovrà procedere alla smobilitazione di massa dei soldati a contratto, con la loro riqualificazione forzata e l'integrazione nelle economie civili delle regioni. Servirà una revoca almeno parziale delle sanzioni, per garantire l'accesso a tecnologie e componenti essenziali, e una rivoluzione negli appalti per la difesa, introducendo rigorosi indicatori chiave di performance. Infine, ci si dovrà concentrare su un "complesso militare-industriale popolare", un ecosistema di piccole e medie imprese in grado di ridurre drasticamente i costi di produzione attraverso la modularità e la produzione di massa. Come spiega Prokopenko, Putin è stato spesso definito un politico "fortunato", ma sarebbe difficile ottenere una tale combinazione di fattori solo grazie alla fortuna, e il futuro dell’economia russa rimane quindi molto incerto.
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