27/09/2025, 08.45
MONDO RUSSO
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I droni russi sull’Europa, dalla guerra alla paura ancestrale

di Stefano Caprio

Tra i tanti obiettivi della “guerra ibrida” di Mosca la Moldavia che va alle elezioni parlamentari il 28 settembre appare uno dei più prossimi. Mentre i velivoli anonimi svolazzanti sui cieli dell'Europa si ergono come totem minacciosi, evocando quello sciamanesimo dalle radici siberiane che oggi in Russia è una delle espressioni più radicali della “difesa dei valori tradizionali” contro la depravazione occidentale.

Appaiono sempre più spesso oggetti volanti non identificati sui cieli dei Paesi europei, dalla Polonia alla Danimarca e alla Norvegia, dall’Estonia alla Romania, bloccando gli aeroporti e incutendo oscuri timori sulla possibile e irrefrenabile escalation della guerra tra la Russia e l’Occidente. I comandanti della Nato cercano di mantenere il sangue freddo, e condannano queste incursioni come “dettagli di un quadro generale provocato dal comportamento irresponsabile di Mosca”.

Il 23 settembre il servizio di intelligence della Nato ha comunicato di aver disposto alcune divisioni in Romania, nei pressi della frontiera con la Moldavia, e anche dei gruppi di militari dalla Francia e dalla Gran Bretagna sono giunti in Ucraina a Odessa, per il “controllo della zona vicina alla Transnistria”. Tra i tanti obiettivi della “guerra ibrida” russa, in effetti, la Moldavia appare uno dei più prossimi e dei più simbolici insieme all’Estonia, dove i russi sentono di dover imporre la propria “missione di salvezza” per i popoli storicamente legati a Mosca. A Chişinău respingono gli allarmi sull’influenza russa, affermando che “la Ue si allarga per accogliere Paesi nello spazio della pace e del benessere”, ma l’interesse dei russi sul futuro della Moldavia è comunque evidente, nella prossimità delle elezioni parlamentari del 28 settembre.

Lo scopo del Cremlino, dopo aver imposto l’orrore della guerra, è quello di diffondere la paura per il futuro, creando ulteriori tensioni in tutta l’Europa a cominciare dai territori più vicini, e la partita in Moldavia appare particolarmente importante. La presidente Maia Sandu si è rivolta all’elettorato, chiedendo di sostenere le forze filo-europee, poiché “la Russia sta spendendo centinaia di milioni di dollari per comprare i voti dei cittadini moldavi” e sistemare al potere i suoi scagnozzi, mentre i servizi russi diffondono false informazioni sull’intenzione dell’Unione europea di “occupare la Moldavia”, pubblicando comunicati secondo cui “gli euroburocrati di Bruxelles hanno tutte le intenzioni di mantenere i moldavi nel corso della politica russofobica”.

Il propagandista più altisonante della Russia, il conduttore televisivo Vladimir Solov’ev, ha rovesciato sulla Sandu le accuse di acquisto dei voti degli elettori moldavi, affermando che “è riuscita a diventare presidente comprandosi 300mila preferenze, che su 3 milioni di persone che vivono in Moldavia non è male come percentuale”. Dalla Russia l’oligarca moldavo in esilio Ilan Šor continua a fomentare la campagna di opposizione alla presidente e al governo di Chişinău, con una rete di partiti che vengono regolarmente sciolti e poi riformati sotto altre spoglie, e le voci sulla “occupazione europea” della Moldavia spingono sempre più verso un conflitto generalizzato tra filorussi e russofobi in tutti i Paesi Ue. Putin accusa apertamente la Nato di “mettere a rischio la stabilità strategica”, e per questo a febbraio non sarà rinnovato il trattato con gli Usa sulle armi strategiche, assicurando che “la Russia è in grado di rispondere a qualunque minaccia presente e futura, e non a parole, ma utilizzando misure militari e tecnologiche”, come ha affermato durante la riunione del Consiglio di sicurezza del Cremlino.

Il professor Aleksandr Astrov, dell’università del Centro-Europa, sostiene che “secondo Putin l’Europa in realtà non esiste, divide il mondo tra Russia e America, secondo le potenzialità belliche e tecnologiche, il resto sono solo chiacchiere”, e quindi gli europei “possono andare a fumare in corridoio, mentre Vladimir e Donald si mettono d’accordo sulle cose importanti”. Non esiste più una vera “alleanza transatlantica”, anzi oggi questa linea di accordo non riguarda più l’Europa, ma si unisce direttamente tra Mosca e Washington, sia da occidente che da oriente, come ha dimostrato l’incontro in Alaska tra Putin e Trump.

Secondo la psicologa e pubblicista Kira Merkun, questa evoluzione delle “minacce celesti” sull’Europa è una dimostrazione ulteriore del contenuto profondo dell’ideologia putiniana, che ha un substrato religioso che non dipende tanto dall’ortodossia cristiana, quanto dal “paganesimo sciamanico”, dalla necessità di trovare elementi che incutano timore e affermino la prevalenza di forze oscure. Del resto, la Russia odierna è ben rappresentata da due figure simboliche: il cantante Šaman, autore dell’inno-rock nazionale Ja russkij!, “Io sono russo e vado fino in fondo”, e dallo sciamano oppositore della Jacuzia, Aleksandr Gabiščev, che da anni minaccia di andare a Mosca per gettare una maledizione su Putin, e per questo è detenuto in manicomio.

Lo sciamanesimo, che in Russia è ammesso come una delle “religioni tradizionali” minori dopo l’Ortodossia, e per cui lo stesso Putin ha mostrato più volte una certa simpatia, si basa sull’agitazione di totem minacciosi, che i droni anonimi svolazzanti rappresentano con notevole efficacia. Perfino nei nuovi manuali russi di aviazione e cosmonautica ci sono dei capitoli sullo sciamanesimo, poiché l’esperienza degli sciamani, evidentemente, aiuta a collegarsi con l’Universo, favorendo il successo dei nuovi progetti tecnologici. In fondo anche il marxismo-leninismo s’imponeva nelle avventure spaziali degli aeronauti sovietici, e a Mosca dominano figure totemiche assolute come il mausoleo di Lenin sulla piazza Rossa, e il vertiginoso monumento a Jurij Gagarin, il primo uomo nello spazio, che apre il grandioso Leninskij prospekt, il viale più lungo e solenne della capitale, che conduce verso l’Ucraina.

Esistono scuole di dottrina sciamanica in tutta la Siberia, nelle regioni mongoliche di Tuva e Buriazia, ma anche in Jacuzia e nella regione dell’Altaj, al confine con la Cina, a cui ci si può iscrivere sia per nascita che per “chiamata interiore”. Mentre a Mosca e San Pietroburgo si perfezionano i sistemi di difesa antiaerea contro i “droni maledetti” provenienti dall’Ucraina, in Siberia e nell’Estremo oriente russo si impegnano gli sciamani a respingere gli spiriti maligni, per proteggere i giacimenti di minerali e pietre preziose, fondamentali per la vacillante economia russa. L’esaltazione dello sciamanesimo è una delle espressioni più radicali della “difesa dei valori tradizionali” contro la depravazione occidentale, e si coniuga facilmente con i solenni rituali dell’ortodossia.

A fine estate si è tenuto un gigantesco festival dello sciamanesimo, detto Sajanskoe Koltso, “Anello di Sayan” nel villaggio di Šušenskoe, nel sud della regione siberiana di Krasnojarsk, alla confluenza dei fiumi Šuš e Enisej, dove Lenin trascorse un periodo al confino prima di diventare il capo della rivoluzione. Dopo la morte del leader mondiale del proletariato, qui venne fondato un museo memoriale, “Esilio siberiano di Lenin”, che occupa un territorio di ben 6,6 ettari di terreno ed è formato da 200 esposizioni di vario genere, per raccontare della vita, delle attività e perfino delle “credenze” di Vladimir Ilič, in sintonia con le popolazioni locali di fine Ottocento-inizio Novecento, essendo egli rimasto in quel luogo dal 1897 al 1900 e lì si era sposato con Natalia Krupskaja, non si sa bene con quale rito. Di fatto Lenin ha lodato in seguito la “semplicità, l’energia e la dedizione” degli uomini poveri della ricca Siberia, che divennero per lui un’ispirazione per la difesa delle classi oppresse dal capitalismo mondiale. In questo senso, lo sciamanesimo può ben rappresentare anche la continuità ideologica tra l’impero sovietico e la Russia putiniana, in forme arcaiche di religiosità naturale.

Non a caso il simbolo della “Russia Unita”, il partito di Putin, è l’orso siberiano, l’animale-totem degli abitanti della Russia asiatica, e il presidente del partito è il sovreccitato delfino di Putin, Dmitrij Medvedev, il cui cognome significa appunto “Dell’Orso” e che esegue regolarmente i rituali di maledizione verso il mondo intero, testimonianza vivente del proverbio russo secondo cui “da presidenti ci si dimette, da sacerdoti mai”, e come conferma la Merkun “si ubriaca e si scatena, fomentando l'aggressione della sua tribù”. Anche Lenin nel bosco del Šuš si dedicava ad attività selvatiche, appassionandosi alla caccia e ordinando con orgoglio non un qualsiasi fucile a doppia canna Tula, ma un'arma della ditta belga "Auguste Francotte" e fino alla fine dei suoi giorni abbatteva con grande piacere gli animali. Del resto anche Stalin, Khruščev, Brežnev, Černenko e Eltsin erano degli appassionati cacciatori, come il nuovo totem Vladimir Putin, che vaga per le steppe di Tuva con l’amico Sergej Šojgu in cerca di fiere, e ama lanciare ed abbattere i droni della nuova religione universale della Russia. Gli unici leader che non si facevano vedere con il fucile in mano erano Andropov e Gorbačev, entrambi nativi delle terre ucraine.

In russo esiste il verbo šamanit, “creare confusione” alla maniera degli sciamani, che pare sia stato coniato prima di tutti dagli sciamani dell’Alaska, terra particolarmente cara ai russi e soprattutto a Putin, visto il caos universale che sta suscitando dopo averla visitata.


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