31/10/2025, 10.04
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Le nuove regole di Delhi sull'intelligenza artificiale, tra tutela e sorveglianza di massa

di Maria Casadei

Il governo indiano vuole introdurre norme severe sui contenuti generati dall’intelligenza artificiale, come i deepfake. La misura intende contrastare abusi e disinformazione, ma solleva forti preoccupazioni per privacy e libertà di espressione. Critici e giuristi avvertono che l’obbligo di etichettare e tracciare i contenuti potrebbe trasformarsi in uno strumento di sorveglianza digitale.

Milano (AsiaNews) - L’India si prepara a introdurre nuove regole per contrastare la crescente minaccia dei deepfake online. Il 22 ottobre scorso il ministero dell’Elettronica e della Tecnologia dell’Informazione (MeitY) ha pubblicato una bozza di modifica alle Information Technology (Intermediary Guidelines and Digital Media Ethics Code) Rules, 2021. L’obiettivo dichiarato è quello di regolamentare i contenuti generati artificialmente, come i deepfake, per contrastare la diffusione di immagini intime non consensuali, fake news e frodi digitali. Tuttavia, la proposta ha riacceso il dibattito sul rischio di un’eccessiva regolamentazione della rete e sulla possibile violazione dei diritti fondamentali.

La storia della legislazione informatica indiana mostra come anche le norme con le migliori intenzioni possano trasformarsi in strumenti di censura. In passato, la Corte Suprema ha già annullato leggi che limitavano la libertà di parola in rete, come quella che puniva chi pubblicava contenuti “offensivi” online, giudicata troppo vaga e pericolosa per la libertà di espressione. Anche alcuni giudici, in casi più recenti, hanno espresso timori verso iniziative governative di “verifica dei fatti” online, sottolineando che tali poteri potrebbero scoraggiare il dissenso e mettere a rischio il pluralismo delle opinioni.

La nuova proposta del 2025 sembra destinata a riaprire la questione. Il progetto introduce infatti una definizione di “informazioni generate sinteticamente” tanto ampia da includere qualsiasi contenuto (testo, immagini o video) prodotto o modificato da un algoritmo. Questo significherebbe che anche chi usa strumenti comuni come ChatGPT per migliorare un post o software di editing video per aggiungere effetti dovrebbe dichiararlo prima della pubblicazione. Le piattaforme social più grandi dovrebbero inoltre verificare la correttezza di tali dichiarazioni e segnalare i contenuti come “sintetici”. Una misura che, se applicata rigidamente, rischia di penalizzare la creatività digitale e di favorire la censura automatizzata.

Ancora più controverso è l’obbligo per gli intermediari di inserire nei contenuti sintetici un “identificatore univoco” o metadati permanenti. L’intento sarebbe quello di garantire tracciabilità e autenticità, ma la misura potrebbe trasformarsi in uno strumento di sorveglianza di massa. I metadati (informazioni che descrivono altri dati, come luogo, ora o dispositivo di creazione di un file) possono rivelare molto più del contenuto stesso: abitudini, relazioni e movimenti delle persone. Diversi studi, come quelli dell’American Civil Liberties Union, hanno già dimostrato come il tracciamento dei metadati possa minacciare la privacy e avere un effetto dissuasivo sulla libertà di espressione.

In un contesto legale come quello indiano, dove la Digital Personal Data Protection Act del 2023 consente ampie deroghe per motivi di sicurezza nazionale o ordine pubblico, la possibilità di abuso è concreta. Le nuove regole potrebbero infatti colpire in modo sproporzionato categorie vulnerabili: attivisti, giornalisti o minoranze che usano strumenti AI per proteggere la propria identità rischierebbero di essere sorvegliati o censurati. La Corte Suprema indiana, in una storica sentenza (nota come il caso K.S. Puttaswamy v. Union of India), ha riconosciuto che la privacy è un diritto fondamentale e che lo Stato può limitarla solo se strettamente necessario e in modo proporzionato. Sebbene la lotta ai deepfake sia indispensabile, la sfida è trovare un equilibrio tra tutela pubblica e libertà individuale. Più che introdurre strumenti di tracciamento invasivi, gli esperti suggeriscono che i legislatori debbano concentrarsi su sistemi di identificazione dei contenuti sintetici che garantiscano trasparenza senza compromettere la libertà di espressione.

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