26/10/2023, 08.24
AZERBAIGIAN-UNGHERIA
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Le storie di ieri e di oggi che uniscono Baku a Budapest

di Vladimir Rozanskij

L'inaugurazione in Ungheria di una statua del poeta azero Nizami Ganjavi è stata l'occasione per rispolverare le radici comuni nella storia degli unni, antico popolo tra i più rappresentativi dell'Eurasia. E sulla stampa dei due Paesi alcuni articoli hanno sottolineato come anche altri avvenimenti ben più recenti leghino tra loro i destini di azeri e magiari

Baku (AsiaNews) - L’incontro dello scorso 19 ottobre al parco Hungaricum nella città ungherese di Lakitelek ha suscitato una nuova ondata di entusiasmo nel ravvivare gli storici rapporti tra l’Ungheria e l’Azerbaigian. L’occasione era l’inaugurazione di una statua del grande poeta azero Nizami Ganjavi (1141-1209), a cui ha preso parte come ospite d’onore il vice-presidente del Milli Medžlis (il parlamento di Baku) Ali Huseynli, capo del gruppo interparlamentare per l’amicizia azerbaigiano-ungherese. Al suo fianco c’erano il vice-speaker dell’Assemblea nazionale di Budapest, Sándor Lejak, il rappresentante del ministero della cultura Janos Sentmartony, alcuni membri dell’Organizzazione dei Paesi turanici in Ungheria e varie autorità locali.

Alla cerimonia sono stati portati molti studenti con i loro insegnanti, per abbeverarsi a una fonte molto esclusiva nel contesto europeo, la quasi mitologica discendenza degli ungari dagli unni, che li rende uno dei popoli più rappresentativi dell’Eurasia. Noti per le scorribande di Attila il “flagello di Dio” a metà del V secolo contro l’impero romano d’Occidente, gli unni discendono da tribù nomadi dell’Asia, chi dice che fossero mongoli anche dominatori della Cina (gli Xiongnu), chi turanici della Siberia meridionale. Di sicuro agli inizi dell’era cristiana furono sospinti verso occidente, occupando prima i territori tra il Volga e il mar Caspio, zona tra l’attuale Azerbaigian e il Kazakistan, e quindi diventando invasori dell’Europa.

Oltre alle radici storiche, molti altri avvenimenti più recenti legano i destini di azeri e magiari, come è stato ricordato da interventi e articoli sulla stampa dei due Paesi in questi giorni. Il 23 ottobre era l’anniversario della rivoluzione ungherese antisovietica del 1956, una vera guerra sanguinosa per l’indipendenza, che inevitabilmente suscita confronti con gli eventi di questi giorni in Ucraina, nel Nagorno Karabakh e in Palestina. Le truppe sovietiche invasero l’Ungheria per tre settimane, fino all’11 novembre, con più di trentamila soldati, 1130 carri armati e armi più moderne delle guerre mondiali precedenti, lasciando sul campo oltre tremila vittime ungheresi e un gran numero di feriti gravi.

Un aspetto che accomuna le vicende di 67 anni fa con quelle odierne è l’ignoranza dei combattenti russi (asiatici, caucasici e altri), che non sapevano allora dove li avessero mandati; molti pensavano di essere in Germania est, che avrebbero raggiunto Berlino e scacciato gli odiati americani. Proprio le vicende ungheresi furono del resto decisive per la costruzione del Muro di Berlino, ma molti soldati pensavano addirittura di essere finiti intorno al canale di Suez, altro richiamo profetico ai conflitti mediorientali di oggi. Quando lo scorso febbraio le truppe furono radunate ai confini dell’Ucraina per poi invaderla, molti soldati pensavano di essere a un’esercitazione, magari in Bielorussia o nel Caucaso.

La confusione delle linee del fronte e degli obiettivi è un fattore che si ripete perfino nell’era di internet, e a questo contribuisce molto la dezinformatsija russa, la guerra delle fake news che ha proclamato la guerra in Ucraina come “liberazione dal nazismo”, riportando i calendari indietro di settant’anni. Allora come ora, l’Onu e le grandi istanze internazionali non riescono a proteggere i cittadini inermi dagli orrori di invasioni e guerre insensate; nel 1956 ogni decisione del Palazzo di vetro fu bloccata dai veti di Mosca, contraria alle “ingerenze negli affari interni dell’Ungheria”.

L’ambasciatore dell’Azerbaigian in Ungheria, Tair Tagizade, è intervenuto per sostenere il rafforzamento del partenariato strategico tra i due Paesi, non solo per le comuni radici e le relazioni amichevoli tra i leader, ma soprattutto per far fronte alle “minacce alla sicurezza” e per le necessità della “collaborazione energetica”. Tali scopi sono stati ribaditi nei messaggi di Ilham Aliev a Viktor Orban, che raccomandano di creare un “ponte tra l’Unione turanica e l’Unione europea”.

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