08/04/2022, 14.49
INDIAN MANDALA
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L’oligarca di Modi supera i 100 miliardi di dollari di ricchezza

di Giorgio Bernardelli

Gautam Adani accanto a Elon Musk e Jeff Bezos nelle "graduatorie" di Bloomberg. Negli ultimi due anni - mentre l'India era in ginocchio per la crisi economica della pandemia - il suo patrimonio è decuplicato. L'ascesa dell'uomo d'affari del Gujarat che si è visto spalancare ogni porta dal governo del Bjp. E che oggi fa affari contemporaneamente col carbone e le energie rinnovabili.

Milano (AsiaNews) – Gautam Adani è entrato nel club globale dei miliardari il cui patrimonio ha superato i 100 miliardi di dollari. A renderlo noto sono le ultime “classifiche” diffuse dalle agenzie economiche che rilevano la travolgente ascesa del magnate del Gujarat che ha fatto la sua fortuna con il carbone e le privatizzazioni di porti e aeroporti indiani. La graduatoria di Bloomberg, diffusa all’inizio del mese, colloca Adani tra gli 11 uomini al mondo con un patrimonio superiore ai 100 miliardi di dollari; un gotha ristretto in cui figura tra personaggi come Elon Musk, Jeff Bezos o Bernard Arnauld. Forbes, invece, lo pone al nono posto tra gli uomini più ricchi al mondo con un patrimonio netto stimato in 109,8 miliardi di dollari.

A colpire è soprattutto la rapidità dell’ascesa della fortuna di Adani, che ha ormai superato l’altro miliardario indiano Mukesh Ambani, a capo del gruppo petrolchimico Reliance Industries: nel giugno 2020 Bloomberg stimava ancora la sua ricchezza a “soli” 10 miliardi di dollari. Nel periodo in cui l’India viveva la gravissima crisi economica causata dalla pandemia, dunque, l’uomo più ricco del Paese avrebbe visto la sua fortuna accrescersi di ben 10 volte. E dall’inizio del 2022 avrebbe già incamerato 28 miliardi di dollari di nuova ricchezza.

Sono numeri che destano impressione considerato che Gautam Adani non è un imprenditore qualsiasi: è noto infatti il suo legame strettissimo con il primo ministro indiano Narendra Modi. Nato 1962 ad Ahmedabad, in quello stesso Gujarat dove il leader nazionalista indù del Bjp ha costruito la sua carriera politica, il giovane Adani lasciò l’università per entrare nel commercio dei diamanti. Il salto di qualità arrivò con i primi affari con le materie plastiche e l’aggiudicazione della concessione per la gestione del porto di Mundra, sul Mar Arabico. Nel 2003 poi - quando Modi finì nell’occhio del ciclone per i sanguinosi scontri con i musulmani nel Gujarat costati la vita a un migliaio di persone - Adani rimase saldamente al suo fianco, ponendo così le premesse per la sua ascesa.

Con la vittoria dell'amico Narendra Modi nelle elezioni del 2014 il boom delle sue imprese si è fatto impetuoso, facilitato anche dai crediti concessi generosamente dal sistema finanziario indiano, non certo insensibile alla sua posizione unica nei confronti del nuovo establishment politico. Il resto lo ha fatto Modi stesso aprendogli davanti vere e proprie praterie con le privatizzazioni. Emblematico nel 2018 il caso dell’aggiudicazione della gestione di sei redditizi aeroporti messi all’asta dal governo indiano con una gara che - proprio per facilitare Adani - non chiedeva alle imprese partecipanti alcuna esperienza nel settore: alla fine sono puntualmente stati assegnati tutti a lui.

Ben pochi limiti sono stati posti anche alla crescita delle sue attività nel settore minerario, di cui il suo gruppo oggi è diventato un colosso globale soprattutto nell’estrazione del carbone.  Al punto che il suo progetto più contestato oggi è la grande miniera di Carmichael, in costruzione nello Stato del Queensland in Australia. Un impianto progettato per estrarre 60 milioni di tonnellate di carbone all’anno, nonostante l’allarme lanciato dalle associazioni ambientaliste per i danni che potrebbe provocare alla barriera corallina e le proteste delle popolazioni aborigene sui cui territori andrà a impattare.

Nel frattempo, però, anche in India le sue miniere continuano a ingrandirsi e non più solo grazie al Bjp: nei giorni scorsi Adani ha incassato dagli Stati del Rajasthan e del Chhatisgarh - tra i pochi ormai ancora governati dal partito del Congresso - la concessione per abbattere 1130 ettari di piante per l’estensione della miniera di carbone del Parsa East and Kente Basan (PEKB) nella foresta di Hasdeo Haranya, la più estesa foresta contigua finora sopravvissuta nell’India centrale. A nulla è valsa l’opposizione dei gruppi delle popolazioni tribali locali, che da sempre vivono in queste aree, a cui nel 2015 Rahul Gandhi stesso aveva promesso che la miniera non sarebbe stata ingrandita. Ma la corsa al carbone oggi in India non si ferma e il gruppo Adani è sempre in prima fila.

Questo non impedisce, però, al magnate amico di Modi di “differenziare” puntando ad ottenere contemporaneamente laute commesse anche nel settore delle energie rinnovabili; negli ultimi anni vi ha investito molto ottenendo anche in questo campo ottimi ritorni. La società Adani Green oggi vanta un parco potenziale di impianti per 20,4 GigaWatt di elettricità prodotta da fonti rinnovabili, uno dei maggiori portfolio globali del settore. E proprio ieri ha incassato un nuovo investimento da 2 miliardi di dollari in questo senso da parte dell’International Holding Company, un importante fondo degli Emirati Arabi Uniti.

Il tutto mentre nei palazzi della politica a New Delhi le quotazioni del Bjp rimangono alte, come anche le ultime elezioni nell’Uttar Pradesh hanno dimostrato. E questo resta l’assett più importante per il miliardario oggi più in ascesa nel mondo della finanza globale.

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