12/01/2009, 00.00
CINA - TIBET - GRAN BRETAGNA
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Londra “dialoga” sui diritti, Pechino arresta i tibetani

Inizia oggi il tradizionale Dialogo Cina-Gran Bretagna sui diritti umani. Ma gruppi pro-Tibet criticano Londra che sembra più interessata ai rapporti economici. Intanto continuano le proteste dei tibetani e la loro repressione.

Dharamsala (AsiaNews) – Ha luogo oggi a Londra il periodico Dialogo sui Diritti umani tra Cina e Gran Bretagna. Gruppi pro-Tibet accusano però Londra di dedicare scarsa attenzione al rispetto dei diritti. Intanto proseguono le proteste dei tibetani, come pure la repressione cinese.

Questi incontri, tra funzionari del ministero degli Affari Esteri e della giustizia e parlamentari dei 2 Paesi, sono iniziati nel 1997 . Da allora la situazione di diritti umani in Cina e soprattutto in Tibet è molto peggiorata . Londra ripete che “la protezione e la promozione dei diritti umani sono una priorità per la politica estera britannica”. E’ il primo incontro dopo la dura repressione cinese nel marzo 2008 in Tibet e c’è attesa per vedere se ci saranno risultati concreti, anche considerato che la repressione prosegue con arresti e condanne al carcere.

Ma gruppi come Free Tibet osservano che se Londra volesse davvero migliorare il rispetto dei diritti, potrebbe istituire un osservatore indipendente per monitorarne la situazione, piuttosto che limitarsi a parlarne in queste occasioni. Questi gruppi accusano il governo britannico di dare maggior importanza alla crescita degli scambi commerciali e degli investimenti cinesi in Gran Bretagna.

Stephanie Bridgen, direttore di Ft, osserva che “l’opinione pubblica britannica è davvero inorridita per le dimensioni e la brutalità delle violazioni dei diritti [avvenute] in Tibet la scorsa primavera. Non è accettabile che dopo tali abusi il governo britannico continui a indicare il solo dialogo per dimostrare che nei rapporti con la Cina difende i diritti. Per convincere l’opinione pubblica del suo effettivo interessamento, Londra deve attuare una politica trasparente che chieda davvero conto alla Cina per gli abusi commessi in Tibet nel 2008”.

Il governo tibetano in esilio denuncia oltre 200 morti nelle proteste di marzo 2008, mentre Pechino parla di 22 morti, di cui 21 cinesi uccisi dai dimostranti.

Mentre Londra “dialoga”, fonti locali riportano che proseguono sporadiche proteste dei tibetani. Il 5 gennaio scorso a Kardze, Ngawang Sonam, tibetano del villaggio Horpo (contea di Kardze, o Ganzi, in Sichuan), ha urlato slogan per l’indipendenza del Tibet  e distribuito volantini con proteste e preghiere. Radio Free Asia riferisce che dopo circa 3 minuti la polizia lo ha circondato, bastonato e portato via.

Stesso destino per una donna di nome Konchok ,che il 29 dicembre a Kardze ha urlato slogan e lanciato volantini per un Tibet libero. Portata via dalla polizia, si ignora dove sia ora.

Nel 2009 ricorrono i 50 anni dalla rivolta tibetana indipendentista del 10 marzo 1959 repressa nel sangue. Per evitare pericolose commemorazioni, il 10 gennaio scorso Pang Boyong, vicesegretario del Comitato permanente del Partito comunista del Tibet, ha rivelato l’intenzione di istituire un giorno di festa per ricordare “l’emancipazione di milioni di servi e schiavi feudali” del Tibet e “le riforme democratiche iniziate 50 anni fa”. (NC)

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