01/04/2019, 09.49
CINA-UE
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L’illusione di una cooperazione ‘win-win’ sulle nuove Vie della seta cinesi

di Emanuele Scimia

Xi Jinping ha messo a segno un colpo diplomatico convincendo l’Italia a partecipare alla Bri durante il suo recente viaggio in Europa. Ma alcuni Paesi della Ue già coinvolti nel megaprogetto cinese hanno iniziato a contestare la strategia geoeconomica del gigante asiatico.

Roma (AsiaNews) - Il presidente cinese Xi Jinping non è tornato in patria a mani vuote dall’Europa lo scorso 27 marzo. Nel corso del suo viaggio di una settimana nel Vecchio Continente, Xi ha visto i leader europei rinnovare il loro impegno per il multilateralismo, nonostante la Francia, la Germania e la Commissione europea abbiano manifestato preoccupazione per le politiche antimercato cinesi e l’opacità della Belt and Road Initiative (Bri).

La delegazione cinese ha portato a casa anche una serie di accordi commerciali miliardari, tra cui un contratto da 33.7 miliardi di dollari (30 miliardi di euro) per acquistare 300 aerei da Airbus, il gigante franco-tedesco dell’aviazione.

Ciò che conta di più, il presidente cinese ha messo a segno un “colpo diplomatico” con l’adesione dell’Italia alla Bri, il piano geoeconomico con il quale la Cina mira a rafforzare i legami commerciali lungo l’antica Via della seta tra Oriente e Occidente.

La Cina è nel mezzo di una guerra commerciale con gli Stati Uniti, e avere un Paese del G7 coinvolto nella Belt and Road è considerato un modo per rompere l’assedio degli Usa.

Il noto esperto di affari cinesi Willy Lam ha evidenziato ad AsiaNews che il motivo principale della visita di Xi in Europa è di dimostrare che “la Cina ha i mezzi per creare divisioni all’interno dell'alleanza occidentale”. Anche se Pechino ha convinto l'Italia a contribuire alla Bri, Lam non crede che gli italiani investiranno nei progetti legati all’iniziativa. “È come mettere soldi in un buco nero”, il sinologo ha sostenuto senza mezzi termini.

I Paesi della Ue che hanno formalmente appoggiato la Bri si dicono convinti di poter aumentare la loro presenza nel vasto mercato cinese e attirare più investimenti dalla Cina.

Michele Geraci, sottosegretario di Stato al ministero italiano dello Sviluppo Economico, ha dichiarato il 27 marzo al Boao Forum in Cina che la partecipazione dell’Italia alla Bri stimolerà la crescita economica del Paese, scivolato in recessione alla fine dello scorso anno.

Ma i fatti raccontano una storia ben diversa.

Gli Stati della Ue che hanno aderito alla Bri nel 2015 hanno visto crescere il loro deficit commerciale con la Cina – a eccezione di Ungheria e Slovacchia, che hanno avuto un lieve miglioramento. La Polonia, la più grande economia del gruppo 16+1, che riunisce la Cina e 16 Paesi dell’Europa centrale e orientale, ha visto il suo squilibrio commerciale con il gigante asiatico lievitare a 24.2 miliardi di dollari (21.6 miliardi di euro) nel 2017 dai 20.4 miliardi di dollari (18.2 miliardi di euro) nel 2015, secondo i dati della Banca mondiale.

Inoltre, gli investimenti cinesi negli 11 Stati membri della Ue che fanno parte del formato 16+1 hanno raggiunto la modesta cifra di 6 miliardi di dollari (5.3 miliardi di euro) tra il 2013, quando è stata lanciata la Bri, e il 2018. La Gran Bretagna, il principale beneficiario europeo della generosità finanziaria della Cina, ha attratto 55.3 miliardi di dollari (49.2 miliardi di euro) nello stesso periodo, riporta il China Global Investment Tracker.

Il presidente italiano Sergio Mattarella, il suo omologo francese Emmanuel Macron, e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno ricordato a Xi che la Bri dovrebbe essere una “strada a doppio senso” e favorire sia l’Europa sia la Cina.

In realtà l’idea di avere una cooperazione “win-win” sulle nuove Vie della seta cinesi sembra a oggi una semplice illusione. A tal riguardo, alcuni Paesi della Ue che finora hanno sostenuto lo sviluppo della Belt and Road, a volte persino arrivando a minare l’unità della Ue nei suoi rapporti con la Cina, hanno iniziato a ricalibrare le loro politiche nei confronti di Pechino.

Gli allarmi della Polonia e della Repubblica Ceca sulle minacce alla sicurezza poste dalle tecnologie fornite dal gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei indicano chiaramente un cambiamento nel loro modo di approcciarsi alla potenza asiatica.

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