19/01/2021, 14.31
CINA
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Migranti cinesi: a milioni disoccupati o impoveriti per gli effetti del Covid

Nel 2020 i lavoratori che di solito si spostano dalle campagne in città sono diminuiti di 5 milioni. L’inflazione ha azzerato la crescita dei salari. La crisi delle imprese esportatrici e di quelle edilizie riduce le opportunità di impiego per i migranti interni.

Hong Kong (AsiaNews) – Milioni di lavoratori migranti cinesi hanno perso il lavoro o si sono impoveriti a causa del Covid-19. Secondo l’Ufficio cinese di statistica, lo scorso anno il loro numero è sceso di oltre 5 milioni: nel 2019 erano 290,8 milioni. Per il China Labour Bulletin, il calo dei migranti interni coincide con il loro mancato ritorno nei luoghi di lavoro dove erano impiegati prima dello scoppio della pandemia. Si tratta soprattutto di quelli che si erano trasferiti nelle aree più sviluppate del Paese, e che con ogni probabilità non hanno trovato un nuovo impiego.

Vi sono dubbi sul numero effettivo dei disoccupati in Cina. I dati ufficiali parlano di un tasso di disoccupazione del 5,6%, meno del 6% delle previsioni. Il calcolo contempla però solo i lavoratori “urbani”, escludendo i lavoratori migranti che si trasferiscono dalle campagne alle città senza poter spostare la residenza ufficiale.

Chi fra essi è riuscito a riavere il lavoro ha ottenuto un posto precario e ha visto un calo del suo potere d’acquisto. Nel 2020 i salari dei lavoratori migranti sono cresciuti del 2,8%: in netto ribasso rispetto all’aumento del 2019 (6,5%), ma soprattutto in linea con l’aumento dell’inflazione (+2,5%), che di fatto ha azzerato l’incremento.

La crescita della povertà tra i lavoratori migranti, che rappresentano un terzo della popolazione in età lavorativa, mette in dubbio gli annunci trionfali delle autorità cinesi sulla ripresa economica: una narrativa condivisa da diversi esperti e osservatori stranieri.

Il prodotto interno lordo cinese è cresciuto del 2,3% nel 2020, in forte recupero dopo il -6,8% registrato nel primo trimestre dello scorso anno. Le imprese esportatrici sono però in difficoltà per l’apprezzamento dello yuan, che rende i loro prodotti meno competitivi, e i crescenti costi di trasporto. Esse sono uno sbocco naturale per la manodopera che di solito si sposta dalla campagne.

A rischio sono anche i lavoratori migranti impiegati nell’edilizia. In base alle nuove regole sul credito introdotte dalla Banca centrale, il 20% dei costruttori nazionali – compreso il gigante China Evergrande Group – non potrà chiedere prestiti. Molte aziende cinesi hanno problemi a ripagare i propri debiti, e il governo vuole evitare una crisi sistemica: nel 2020 le imprese edilizie hanno accumulato debiti per 1.200 miliardi di yuan (153 miliardi di euro).  

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