10/09/2021, 10.28
TURCHIA-AFGHANISTAN
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Missionari a Istanbul: 'Tensione alle stelle contro i profughi afghani'

di Chiara Zappa

"La bomba sociale alimentata dalla crisi economica, in un Paese che accoglie già 5 milioni di migranti, rischia di scoppiare con la nuova ondata di arrivi", raccontano Roberto e Gabriella Ugolini, per decenni attivi sul confine con l’Iran dove il governo sta innalzando un muro contro chi fugge dai talebani.

 

Istanbul (AsiaNews) - "Il clima in Turchia nei confronti della nuova ondata di profughi in arrivo dall’Afghanistan è molto teso, la xenofobia sta montando". Si dicono preoccupati Roberto e Gabriella Ugolini, missionari fidei donum della diocesi di Firenze nel Paese della Mezzaluna dal 2000, oggi testimoni dell’ennesima emergenza migratoria in una società fortemente provata dalla crisi economica, ulteriormente aggravata dalla pandemia di Covid-19.

"In questi anni la Turchia si è dimostrata capace di grande accoglienza, ma i problemi interni hanno esasperato la gente, che non vuole sentire parlare di aprire le porte ad altri rifugiati". Secondo i dati ufficiali dell’Onu i siriani attualmente ospitati nel Paese sono 3,6 milioni, mentre il totale di profughi e richiedenti asilo, per l’Autorità governativa dell’Immigrazione, raggiunge i 5 milioni, anche perché "molti scelgono di non farsi registrare nella speranza di continuare il viaggio fino in Europa", spiegano i coniugi Ugolini. Centinaia di migliaia gli afghani: 116 mila secondo l’agenzia governativa Afad, almeno mezzo milione per le organizzazioni non governative.

Nelle scorse settimane circa 1.500 afghani al giorno - "tra cui diversi militari in fuga" - avrebbero varcato la frontiera turca dall’Iran, il Paese attraverso il quale corre la rotta per raggiungere l’Occidente, e i numeri degli arrivi sono destinati ad aumentare. Ma il tasso di respingimenti è cresciuto drammaticamente.

"Proprio lungo il confine con l’Iran il governo turco ha costruito un muro che alla fine dovrebbe correre per circa 500 km, nel tentativo di fermare l’avanzata di questi disperati". Persone che Gabriella e Roberto Ugolini conoscono bene, visto che la loro missione è sempre stata a fianco dei migranti nell’Est del Paese: prima Ürfa, ai confini con la Siria, poi, per quindici anni, a Van, cuore della regione curda a un passo dall’Iran, terra di pastori, contrabbandieri e tanti afghani e iraniani in fuga da violenze e oppressione.

"È gente che scappa per motivi politici, per fuggire a persecuzioni su base religiosa, o alla ricerca di una vita dignitosa per sé e i propri figli. Ma ci sono anche le donne in fuga da costrizioni familiari e sociali e le persone, come i gay, che nelle società di origine subiscono forme gravi di intolleranza. Tutti vedono la Turchia come una tappa di passaggio per raggiungere l’Europa o altri Paesi occidentali, ma poi in realtà si trovano ad aspettare fino a dieci anni per ottenere l’eventuale status di rifugiati".

Nel frattempo, "questo Paese cerca di accoglierli dignitosamente: chi si registra accede ai servizi, come la scuola per i bambini, ma lavorare si può solo in nero. E chi sceglie di restare nella clandestinità rimane alla mercé dei trafficanti di uomini".

Oggi, la “bomba sociale” alimentata dalla disoccupazione - che di recente ha visto disordini e violenze contro un quartiere abitato da siriani ad Ankara - rischia di scoppiare con i nuovi arrivi dall’Afghanistan. Nelle prime settimane dell’emergenza, il presidente Erdoğan aveva dichiarato che "la Turchia non è obbligata a essere il deposito dei migranti per l’Europa", pressato anche dai partiti di opposizione che non cessano di attaccarlo per l’accordo con l’UE e sottolineano il rischio rappresentato dall’ondata di profughi in fuga dal governo dei talebani. Un regime a cui Erdoğan ha dichiarato di voler concedere un’apertura di credito: ragione in più per non accettare richiedenti asilo.

"Intanto chi era già in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato oggi è disperato perché teme che il proprio dossier rimanga congelato", raccontano i coniugi Ugolini, attualmente basati a Istanbul da dove, oltre a occuparsi dell’assistenza ai migranti nella metropoli, continuano a seguire la scuola di lingua turca e inglese creata a Van per le donne iraniane e afghane.

La Chiesa - affermano - "in questi anni è sempre stata in prima linea nell’accoglienza, pur con i mezzi limitati che ha a disposizione. C’è una Caritas che opera bene, sia nel vicariato di Istanbul sia in quello dell’Anatolia, e sono numerose le iniziative di assistenza in collaborazione con le altre Chiese cristiane, da quella greco-ortodossa alle comunità protestanti".

I bisogni, tuttavia, sono enormi e il Paese oggi non sa come affrontarli. "Il pericolo che cresca l’intolleranza è concreto - ammette la coppia italiana -. E contenerla non sarà facile".

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