28/03/2019, 12.32
MAROCCO - VATICANO
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Missionario Pime: Il Papa in Marocco, per rilanciare il dialogo interreligioso

Il 30 e il 31 marzo Francesco visiterà il Paese nordafricano su invito di re Mohammad VI. Grande attesa fra i cattolici, molti dei quali immigrati dell’area sub-sahariana. Una comunità giovane e viva.  P. Davide, missionario in Algeria: “Occasione unica” per dare visibilità alla Chiesa locale. 

Rabat (AsiaNews) - Il viaggio apostolico di papa Francesco in Marocco, come già avvenuto di recente negli Emirati Arabi Uniti, può imprimere “un nuovo slancio sul piano del dialogo interreligioso”. E può contribuire a “dare una maggiore visibilità alla Chiesa locale”.

È quanto racconta ad AsiaNews p. Davide Carraro, 38enne sacerdote del Pime, da tempo in missione in Algeria dopo aver trascorso due anni in Egitto per imparare l’arabo, commentando la visita del pontefice nel Paese nordafricano in programma il 30 e 31 marzo. “La comunità cristiana locale - spiega - in Marocco ma ancor più in Algeria fatica a rendere visibile la propria presenza, non certo per la voglia di nascondersi, ma per numeri che sono ancora esigui”. 

Fra i Paesi dell’area, spiega il sacerdote di origini venete, vi è il desiderio che “la presenza di un papa nell’area possa contribuire a rafforzare un cammino di dialogo e di collaborazione vera” fra le due grandi fedi monoteiste. A questo si aggiunge l’auspicio di “una conoscenza reciproca maggiore, perché ogni spostamento del pontefice è seguito con attenzione ed è fonte di visibilità. Esso finisce per fornire un coinvolgimento positivo per la comunità cristiana locale, all’interno della società in cui essa si trova” a vivere e professare la fede in condizioni non sempre favorevoli.

La Chiesa algerina, prosegue p. Davide, “sarà presente con una delegazione di vescovi e alcuni fedeli a titolo personale. Questo non per mancanza di attenzione, anzi, ma per problemi logistici e di risorse”. Resta da vedere, aggiunge, “se e come la stampa locale ne parlerà. Sarà interessante vedere se esso potrà avere una vasta eco e connotati positivi come è avvenuto negli Emirati”. 

Papa Francesco andrà in Marocco su invito di re Mohammad VI, con l’obiettivo comune di “sviluppare il dialogo interreligioso” fra islam e cristianesimo come recita la nota ufficiale. Per l’arcivescovo di Rabat mons. Cristóbal López Romero essa è una “occasione unica” per mostrare “che conta più ciò che ci unisce, rispetto a quello che ci divide”. 

Nella capitale si respira un clima di grande attesa fra i cattolici, una realtà cosmopolita fatta da migranti dell’Africa sub-sahariana, locali e (pochi) europei; tra i fedeli è caccia al biglietto per assistere alla messa. La maggior parte degli immigrati da altre nazioni dell’Africa ha scelto il Marocco come meta per ragioni di studio, per lavoro o come base nel tentativo di raggiungere un giorno l’Europa. “La loro presenza - spiega p. Daniel, sacerdote a Rabat - porta una ventata nuova, non ho mai visto una Chiesa così giovane, con una età media di 30-35 anni”. 

In Marocco vi sono circa 35mila cattolici, un numero dieci volte inferiore rispetto ai tempi che hanno preceduto l’indipendenza nel 1956. All’epoca del colonialismo francese vi erano circa 200 chiese, mentre oggi ne restano 44 sparse fra l’arcidiocesi di Rabat e quella di Tangeri. A salvare i luoghi di culto cristiani ha contribuito in gran parte l’immigrazione sub-sahariana, in due ondate: gli studenti nei primi anni ’90 del secolo scorso e i migranti economici dell’ultima decade. 

La visita del papa potrà dare un nuovo impulso all’incontro e al dialogo con i musulmani, come auspica la 24enne studentessa congolese Cyrvine: “Alcuni musulmani pensano che non abbiamo lo stesso Dio e che finiremo all’inferno, ma la visita del papa sarà occasione per riunire comunità e religioni. La ragazza è membro del coro e aspetta con “impazienza” l’incontro con Francesco. 

La Costituzione locale stabilisce che l’islam è la religione di Stato, ma garantisce al contempo “libertà di culto per tutti”. Va peraltro sottolineato che il Codice penale punisce il “proselitismo” con pene dai sei mesi ai tre anni di prigione; e, in molti casi, le parrocchie preferiscono “evitare” di mettere i fedeli marocchini nelle prime file perché “è una questione delicata”. 

A livello di legislazione, in Tunisia e Marocco vi è maggiore libertà di culto rispetto all’Algeria. “La nostra realtà - riprende il missionario Pime - avrebbe bisogno di una maggiore presenza di fedeli locali, ma per questo servirà ancora del tempo ed è tutto nelle mani di Dio”. Il nostro compito, conclude, “come sacerdoti ma soprattutto come missionari è quello di essere presenti a livello sociale e pastorale in un contesto che è quasi interamente musulmano. Essere una presenza visibile e dimostrare che si può stare assieme”.

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