08/11/2018, 12.18
TAIWAN
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Missionario: Nella Chiesa di Taiwan vi sono segni di vera vitalità

Al seminario di Taipei vi sono 10 seminaristi. È importante un’evangelizzazione che vinca il torpore dei cristiani e della società presa in ostaggio dalla secolarizzazione e dalla voglia di ricchezza e benessere. Far scoprire ai giovani la persona di Gesù Cristo. P. Étienne Frécon, sacerdote dei missionari esteri di Parigi, racconta la sua esperienza.

Taipei (AsiaNews/EdA) – La Chiesa di Taiwan mostra segni di vera vitalità. È quanto afferma p. Étienne Frécon, delle Missioni estere di Parigi (Mep), sull’isola dal 2012, citando come segno la Giornata nazionale della gioventù, che si celebra ogni anno in agosto. P. Etienne parla anche del timore diffuso fra i fedeli per l’accordo sino-vaticano firmato lo scorso settembre, che potrebbe portare alla rottura dei rapporti diplomatici fra Taiwan (Repubblica di Cina) e Vaticano. C’è bisogno di un nuovo slancio missionario in una società secolarizzata e presa in ostaggio dalla corsa al profitto. Pubblichiamo ampi stralci dell’intervista di p. Frécon, rilasciata ad Eglises d’Asie (traduzione di AsiaNews).

I cattolici di Taiwan come vivono il nuovo accordo fra Pechino e la Santa Sede?

Taiwan accompagna la Chiesa di Cina soprattutto mediante lavori di traduzione e formazione. Molti preti e religiose cinesi vengono a formarsi a Taiwan, e un certo numero di gente dal continente viene a scoprire idee. Ma vi è una vera angoscia dei taiwanesi di fronte all’avvicinamento fra Pechino e il Vaticano perché hanno paura di essere abbandonati da Roma. Al presente Taiwan ha relazioni diplomatiche con il Vaticano, anche se non vi è più un nunzio, ma un incaricato d’affari… Qualunque cosa succeda, penso che la Chiesa di Taiwan continuerà ad aiutare la Chiesa del continente, anche se esse sono due realtà molto diverse. A Taiwan si è liberi e tutto è possibile.

Come va la Chiesa a Taiwan?

Vi sono dei segni di vera vitalità. Vi sono giovani che si mostrano davvero motivati, che vivono il vangelo e vogliono essere missionari. Per esempio, nel mese di agosto, come ogni anno, è stata organizzata la Giornata nazionale della gioventù, sulla scia della Giornata della gioventù asiatica, tenutasi in Indonesia. E hanno deciso di invitare vari Paesi dell’Asia a parteciparvi…

Nella parrocchia dove ho lavorato, molti giovani hanno fondato un gruppo per evangelizzare gli altri giovani. Organizzano attività nelle scuole o all’esterno per attirare i loro coetanei non cristiani e condividere con loro la fede. Certo, vi sono anche segni di torpore fra comunità piccole, chiuse in sé stesse e con molte regole e rituali, in cui manca dinamismo e spirito missionario. C’è un equilibrio fra le due tendenze, ma il campo missionario è molto vasto.

Lei è diventato responsabile del seminario di Taipei

Quello di Taipei è un seminario interdiocesano, per tutta l’isola, sostenuto dalla conferenza dei vescovi di Taiwan e conta 10 seminaristi. Siamo un’équipe di quattro sacerdoti. Io sono francese, poi vi è un taiwanese, un coreano e un cinese del continente che ha passato 20 anni a Friburgo. Non vi sono nuove entrate nel 2018. Ma 10 seminaristi per 300mila cattolici non per nulla male. Un terzo di loro viene dalla diocesi di Hualian, la diocesi aborigena fondata da mons. Vérineux, dei Mep. Gli altri sono di etnia Han, quindi cinesi. Le vocazioni vengono da famiglie cattoliche tradizionali, che lo sono da due o tre generazioni, e dai nuovi convertiti, divenuti cattolici verso i 18-20 anni e qualche anno più tardi sono entrati in seminario. Con questo seminario, la struttura funziona, coi corsi insegnati alla facoltà di teologia, ma penso ci debba essere un grande sforzo per dare uno slancio missionario alla formazione dei sacerdoti, affinché ciò contagi e interpelli i giovani taiwanesi. Questo porterà a un nuovo spirito alle comunità cristiane, che sono piccole e fatte spesso da anziani, che hanno bisogno di pastori che li portino all’esterno. Occorre poi lavorare con coloro che si occupano dei giovani nelle diocesi dell’isola per far sì che questi giovani possano scoprire la loro relazione con Cristo. Da qui potrebbe nascere un dinamismo che forse li potrà condurre in seminario.

Vi è una tendenza alla secolarizzazione?

Sì, penso che il torpore di Taiwan derivi da questo. La Chiesa si è sviluppata molto dopo gli anni ’50, con l’arrivo di Chiang Kai-shek. Il numero dei fedeli cattolici è passato da 10mila a 300mila. In seguito, vi sono state molte conversioni fra gli aborigeni e nella popolazione cinese, dato che con Chiang Kai-shek erano arrivati vescovi, preti, missionari; c’era dunque un vero sviluppo della Chiesa. Ciò andava di pari passo con lo sviluppo economico dell’siola e molte persone si sono convertite. Ma oggi, ci si ritrova con comunità che invecchiano e non c’è molto rinnovamento.

Lo sviluppo economico e il benessere che ne deriva finiscono a poco a poco a spingere i cristiani ad abbandonare ogni pratica religiosa. Per questo oggi, il lavoro di evangelizzazione e la missione si appoggiano molto sui nuovi battezzati, che hanno vissuto una vera conversione scoprendo la figura di Cristo.

A Taiwan si vive bene, si è presi in una routine molto dinamica, con molto lavoro, molte esigenze di società, non si prende il tempo per sviluppare la propria vita spirituale. E senza di questo, è difficile ascoltare la chiamata del Signore. An che se nella società sono presenti il taoismo e i suoi riti, e un po’ di buddismo, c’è molta secolarizzazione, corsa al profitto, all’arricchimento. Fare un gesto cristiano, entrare in seminario, è un gesto forte. Per questo occorre un lavoro di accompagnamento e discernimento per sviluppare questa vita spirituale in un contesto non favorevole.

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