22/03/2018, 08.31
PAKISTAN
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Mons. Arshad: I cristiani in Pakistan, ‘un piccolo gregge forte nella fede’

di Anna Chiara Filice

I vescovi pakistani hanno incontrato papa Francesco in occasione della visita “ad limina”. “Un incontro amichevole, come in famiglia”. La Chiesa pakistana lavora per tutti ed è apprezzata nel campo dell’educazione e delle cure mediche. Il dialogo con i capi religiosi; le speranze per i giovani.

Città del Vaticano (AsiaNews) – I cristiani del Pakistan sono “un piccolo gregge”, ma “forti nella fede”. Lo afferma ad AsiaNews mons. Joseph Arshad, presidente della Conferenza episcopale pakistana. Lo incontriamo a Roma, in occasione della visita “ad limina” dei vescovi pakistani in Vaticano. Il presule parla del dialogo interreligioso, dell’opera della Chiesa nella società, dell’estremismo islamico. Su quest’ultimo tema egli tiene a precisare che le violenze “colpiscono tutti, non solo i cristiani, ma anche le moschee e le scuole islamiche”. Il problema, ribadisce, è alla base della società “divisa anche su criteri economici”. 

Mons. Arshad, 53 anni, presiede anche la Commissione nazionale Giustizia e pace. Ordinato sacerdote nel 1991 dal card. Fernando Filoni, ha studiato diritto canonico alla Pontificia università Urbaniana di Roma. In seguito, per 14 anni ha operato nel servizio diplomatico della Santa Sede. Nel 2013 papa Francesco lo ha nominato vescovo di Faisalabad. Nel 2016 il pontefice lo ha scelto come amministratore apostolico per la diocesi di Islamabad-Rawalpindi e poi il 10 febbraio scorso arcivescovo della stessa diocesi.

Eccellenza, come è stato l’incontro con il papa durante la visita ad limina dei vescovi pakistani?

L’incontro con papa Francesco è stato molto amichevole, come in una famiglia. Ci siamo seduti insieme ed è stato un incontro come di fraternità, di famiglia. Abbiamo parlato con lui della realtà della Chiesa pakistana ed egli ci ha incoraggiato ad andare avanti nel servizio che svolgiamo per la società e nel nostro impegno a contribuire per la pace e l’armonia all’interno della società. 

Lui ci sostiene e ama queste Chiese che sono piccole e lontane. Ringraziamo il Santo Padre che ci ha accolto come fratelli. Lui ama la Chiesa pakistana, una delle periferie del mondo di cui parla tanto. Ci piacerebbe molto se un giorno, nel caso in cui le circostanze lo permettano, egli possa venire a incontrare il popolo pakistano.

Come vivono i cristiani pakistani? Come svolgono la loro opera nella società?

Il Pakistan è un Paese di circa 200 milioni di abitanti, di cui quasi due milioni di cattolici. Anche se siamo un piccolo gregge, il servizio che offre la Chiesa è riconosciuto e apprezzato da tutta la popolazione e dal governo. Il nostro contributo è apprezzato in particolare nel settore dell’educazione, delle cure sanitarie e dei servizi sociali. Le nostre istituzioni offrono un gran sostegno alla gente e alla nazione pakistana.

La Chiesa lavora per tutti, non solo per i cristiani. Per esempio, nelle nostre scuole, la maggioranza degli alunni è di religione musulmana. Per questo la nostra presenza in Pakistan si sente attraverso le nostre istituzioni che sono aperte a tutti. Anzi, le dirò di più: tantissimi musulmani vogliono entrare nelle nostre scuole perché sanno che lì possono trovare un buon livello d’istruzione. Essi aspirano a venire nelle nostre scuole, sia perché sanno che potranno avere maggiori opportunità di carriera, ma soprattutto perché formiamo i nostri studenti dal punto di vista umano. 

Alunni di diverse religioni studiano insieme. Che legami si creano fra loro?

Tra coloro che frequentano le stesse scuole si creano rapporti d’amicizia. Io stesso ho tanti amici musulmani. Il problema non è l’appartenenza religiosa, ma le discriminazioni all’interno della società: chi è povero e non ha soldi viene in automatico identificato come una persona cattiva. È un atteggiamento che logora la società pakistana: chi è povero, è emarginato; chi è ricco, si ritiene superiore. 
 

In Pakistan spesso i cristiani sono perseguitati a causa della religione. In quanto minoranza religiosa in un Paese musulmano, com’è vivere la fede?

Di certo esistono realtà molto complesse, dal punto di vista politico, sociale ed economico. Nella società esistono diversi problemi, che provocano sofferenze non solo ai cristiani, ma anche ai musulmani. L’origine di questa sofferenza deriva dal divario economico che caratterizza la società: da una parte, persone molto ricche; dall’altra, persone molto povere. Questi ultimi, poveri ed emarginati, sono la maggioranza. Non esiste la classe media. Perciò il Paese si divide tra coloro che hanno molto potere e i deboli. 

Di certo i cristiani fanno parte di quella fascia della popolazione emarginata e oppressa. In tutti i loro problemi, si rivolgono verso la Chiesa in cerca d’aiuto. E la Chiesa offre una speranza. 

In questa situazione, due aspetti sono molto importanti per la Chiesa. Prima di tutto, il dialogo interreligioso; poi promuovere la pace e l’armonia nella società. Noi lavoriamo in queste due direzioni fondamentali, perché siamo tutti uomini, sia cristiani che musulmani. Tutti siamo stati creati da Dio ed è nostro compito rispettarci a vicenda. La società di oggi ha bisogno di questi valori: rispettarci gli uni con gli altri, sia dal punto di vista religioso sia come persone umane.

Esiste la libertà religiosa? Potete professare in libertà il Vangelo?

Se voglio costruire una chiesa, ho la facoltà di comprare il terreno per edificare il luogo di culto. I sacerdoti hanno la libertà di spostarsi per celebrare la messa nelle chiese nel Paese. Tra i nostri fedeli possiamo professare liberamente gli insegnamenti di Cristo.

Ma dappertutto esiste un problema di sicurezza. E tengo a sottolineare che il problema è per tutti, non solo per i cristiani. Anche le moschee e le scuole musulmane vengono attaccate dai fondamentalisti. C’è un problema generale nella società. Ma dobbiamo anche ribadire che il governo ci aiuta nella protezione delle chiese. Per esempio le autorità inviano dei soldati a presidiare i luoghi cristiani durante le funzioni religiose. Il problema è la mentalità diffusa nel Paese, l’intolleranza dei gruppi fondamentalisti che aspirano a diffondere l’islam nel loro modo in Pakistan. 

È possibile dialogare con i militanti?

Noi abbiamo instaurato un dialogo con i capi religiosi. Inoltre partecipiamo alle loro feste e li invitiamo a essere presenti alle nostre, come il Natale e la Pasqua. In questo modo prende forma un’atmosfera di dialogo. 

Grazie alla creazione di questi rapporti, quando esiste qualche dissidio nella società o nei villaggi, riusciamo ad intervenire insieme in tempo e siamo in grado di risolvere il conflitto prima che esso si ingigantisca. Spesso riusciamo a salvare le persone prima che si diffonda la notizia. Nel nostro Paese accade di frequente che grandi folle si radunano e prendono la legge nelle loro mani [per farsi giustizia da soli]. Invece noi, attraverso i gruppi interreligiosi, evitiamo che accada tutto questo.

Cosa spera per la Chiesa pakistana? E in particolare per i giovani, ai quali è dedicato il prossimo Sinodo?

Quest’anno in Pakistan celebriamo l’Anno dell’Eucaristia. Questa esperienza spirituale di devozione eucaristica è un’iniziativa molto importante per il nostro popolo cattolico. Nonostante i problemi che affrontiamo tutti i giorni, la fede della nostra gente è ancora molto forte, sia nei giovani che negli anziani. Attraverso questo Anno dell’Eucaristia, la fede della nostra gente sarà rinnovata e diventerà più forte. Abbiamo diversi programmi a livello locale, come le processioni eucaristiche e i ritiri spirituali. Inoltre nelle parrocchie di tutte le diocesi vengono organizzati seminari per spiegare i sacramenti. 

Per quanto riguarda i giovani, per noi il Sinodo a loro dedicato è molto importante, perché il 60% della popolazione pakistana è composta da giovani. Speriamo che questo Sinodo possa diffondere un messaggio con cui contribuire alla formazione della realtà giovanile del Pakistan.

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