15/03/2023, 10.23
TURCHIA
Invia ad un amico

Mons. Bizzeti: Antiochia, il sisma ha segnato ‘la fine di un’epoca’

di Dario Salvi

Il vicario d’Anatolia racconta una situazione “ancora di piena emergenza” e di forte impatto a livello psicologico. La terra continua a tremare e il bilancio - fra Siria e Turchia - ha superato quota 55mila morti. L’opera della Caritas in collaborazione con le autorità locali. Il sisma occasione per ripensare, e ricostruire, chiese secondo un'architettura “turca”.

Milano (AsiaNews) - La Turchia, colpita dal devastante terremoto del 6 febbraio, vive ancora “una fase di piena emergenza” con alcune differenze, perché se a Iskenderun si cerca di capire come ripristinare i servizi di base, altrove come Antiochia “la situazione è veramente tragica”. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Paolo Bizzeti, vicario d’Anatolia, raggiunto a Iskenderun dove è tornato in questi giorni per coordinare l’operazione di soccorso agli sfollati, dopo aver fatto più volte spola con l’Italia in queste settimane per raccogliere fondi e aiuti. Il vicariato, spiega, fa riferimento su tre basi rispettivamente a Iskenderun stessa, a Mersin e ad Antiochia, in “piena collaborazione con le autorità locali” e attraverso un’opera “disinteressata ed efficiente”. Ma per rendere più efficace la rete di invio è “importante che torni a operare l’aeroporto di Hatay”. 

Il dato aggiornato delle vittime, diffuso ieri dal ministro turco degli Interni Suleyman Soylu, è di 48.448 morti. In Siria, secondo i dati rilanciati da alcune ong presenti sul territorio la stima è di 7.259 morti per un bilancio complessivo nei due Paesi di 55.707 persone che hanno perso la vita. E nella zona la terra continua a tremate: ieri, infatti, si è registrata una nuova, intensa scossa di magnitudo 4,6 con epicentro a Kahramanmaras, e una profondità di 10 chilometri nel sottosuolo e “questo mette paura e ha un forte impatto sotto il profilo psicologico” ammette mons. Bizzeti.

Parlando della situazione sul terreno, a conclusione di una visita di cinque giorni, l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi riferisce un quadro di “devastazione scioccante e distruzione apocalittica”. Grandi rilancia al contempo un appello per maggiori “risorse” e una “risposta umanitaria più importante, perché si torni a vivere”. 

Per il vicario d’Anatolia il cuore della tragedia resta Antiochia dove, racconta, “hanno calcolato che vi sono 1,6 milioni tonnellate di macerie da rimuovere” per una città “rasa al suolo. E anche gli edifici rimasti in piedi, in realtà non sono agibili” e servirà “uno sforzo immane per sgombrarla” per poi avviare “un piano di ricostruzione”. “Siamo consapevoli - prosegue - che è finita un’epoca: tutta l’antica Antiochia, con le vecchie case in stile siriano e aleppino, sono sparite e non sono ricostruibili. Il mercato è distrutto, anche dal punto di vista turistico i luoghi più interessanti sono spariti… millenni di storia rasa al suolo!”.

La parte più “affascinante” della città è “cancellata e non si potrà ricostruire”, quasi tutta la popolazione “è fuggita, altri vivono sotto le tende o ha trovato rifugio sulle montagne”. “In questo momento - prosegue - hanno bisogno di tutto e non è semplice nemmeno immaginare i prossimi mesi, con il caldo, per come gestire la situazione. Rete elettrica, fognaria, idrica, le comunicazioni: tutto è da ricostruire, anche il museo, un tempo attrazione principale, non si sa se e quando riaprirà mentre si sta lavorando per cercare di ingabbiare, per preservarle, le statue dei tempi ittiti famose in tutto il mondo. Una situazione tragica e in divenire”. 

A Iskenderun piove e la situazione è ancora precaria, come spiega il prelato. “Le banche sono chiuse, mancano diversi servizi e non è semplice cercare di tornare a una vita sostenibile. Le persone - aggiunge - sono provate e hanno paura di dormire nelle loro abitazioni, anche se intatte e fruibili. Siamo ancora in una fase di pieno terremoto, pur a fronte di alcune notizie positive: ad aprile dovrebbero arrivare container per aprire banche e poste, per tornare a fornire servizi essenziali e rompere l’isolamento, che è ancora maggiore nei villaggi e nelle cittadine circostanti”.

In queste settimane l’opera di Caritas Turchia, di cui mons. Bizzeti è presidente, si concentra nella periferia di Antiochia “per garantire viveri a un villaggio di contadini e pastori. Servono pasti caldi, vi sono 1.200 persone a cui daremo il necessario per vivere un mese, poi vedremo come la situazione evolve. Siamo - spiega - anche alla vigilia dell’inizio del Ramadan [il mese sacro di digiuno e preghiera islamico, ndr] e vogliamo aiutarli anche in questo momento speciale”. 

Infine, una riflessione in una prospettiva di ricostruzione: “A breve si porrà la questione di come ricostruire la chiesa di Iskenderun, che di certo non potremo rifare come era. Questa - conclude - può essere una occasione per ripensare l’architettura della cattedrale, perché sia in armonia con il gusto turco, lasciando da parte altri modelli ma basandosi su chiese che si inseriscano nella cultura e nell’architettura turca, che è pregevole”. 

A SOSTEGNO DELLE INIZIATIVE PER LE VITTIME DEL TERREMOTO REALIZZATE DAL VICARIATO APOSTOLICO DELL'ANATOLIA E DALLA CUSTODIA DI TERRA SANTA LA FONDAZIONE PIME HA APERTO UNA RACCOLTA FONDI. CLICCA QUI PER CONOSCERE LE SUE MODALITA' E PER CONTRIBUIRE.

TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
Mons. Bizzeti: Antiochia è una città post-atomica. Sisma e migranti, risposte comuni
27/02/2023 10:51
Vicario d’Anatolia: non silenzio, ma solidarietà nella ‘tragedia del terremoto’
20/02/2023 13:03
Sacerdote a Iskenderun: dal sisma l’unità fra Chiese, la preghiera di cristiani e musulmani
13/02/2023 13:37
Sisma in Turchia: Antiochia rasa al suolo. Paese unito nel dolore, diviso dalla politica
11/02/2023 11:59
Terremoto: Ankara rischia di perdere fino all’1% del Pil
16/02/2023 10:44


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”