27/03/2020, 11.28
TERRA SANTA
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Mons. Pizzaballa: il coronavirus segna il limite umano, risveglia la ricerca di Dio

Per l’amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei latini l’emergenza ha risvegliato il desiderio di “interrogarsi su qualcosa di più profondo”. La volontà di mantenere aperto il Santo Sepolcro per le funzioni, nel rispetto delle norme. L’opera dei sacerdoti a favore delle famiglie nel bisogno. Rivedere le relazioni, ripensare ai rapporti. 

Gerusalemme (AsiaNews) - L’emergenza coronavirus “ci ricorda quanto siamo limitati”, che “basta un piccolo virus e tutto il nostro impianto salta” perché “non siamo padroni del nostro destino”; tuttavia, la “sensazione di disorientamento” ha risvegliato “il desiderio” di “interrogarsi su qualcosa di più vero e profondo per la nostra vita”. È quanto racconta in una intervista ad AsiaNews l’amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei latini mons. Pierbattista Pizzaballa, commentando una crisi che ha investito anche la Chiesa di Terra Santa. Paura diffusa più che ai tempi dell’Intifada, il Santo Sepolcro aperto per le funzioni senza i pellegrini, il rischio di una epidemia a Gaza con effetti devastanti: il Covid-19 ha colpito anche la terra di Gesù nelle settimane di Quaresima in preparazione alla Pasqua, il momento più importante del calendario liturgico. “Dobbiamo alzare lo sguardo - aggiunge il prelato - e ricordarci che, se siamo creature, c’è anche un creatore”. 
Ecco, di seguito, l’intervista di mons. Pizzaballa ad AsiaNews: 

Eccellenza, come vivono in cristiani di Terra Santa l’emergenza coronavirus?
sono tempi peggiori che in guerra. Durante la guerra almeno ci si poteva riunire e pregare nelle chiese, per farci forza. Oggi no e anche se cerchiamo di sopperire attraverso internet, non è la stessa cosa. Nella nostra Chiesa vi sono diverse legislazioni, ma le indicazioni statali sono uniformi: non si può uscire, se non per comprare beni di prima necessità. Finora non abbiamo vittime e il virus non è esteso come in Italia, ma c’è tanta paura e chiusure in via precauzionale. Le preoccupazioni maggiori sono, al momento, a livello economico e sociale per le persone rimaste senza lavoro. Penso soprattutto alla Palestina o alla Giordania, senza garanzie dello Stato sociale. 

Alcuni luoghi simbolo come il Santo Sepolcro restano aperti…
Nel rispetto delle misure di sicurezza, vogliamo restare aperti. La chiusura del Santo Sepolcro ai pellegrini è doverosa, ma le cerimonie al suo interno continueranno. Questo è un segnale importante per la comunità e i nostri preti cercano di essere presenti con diverse attività e modalità. Certo, non si possono fare visite alle case, ma i sacerdoti passano le giornate al telefono per sentire le famiglie, portare loro solidarietà anche a livello pratico. Vi sono volontari delle parrocchie che portano cibo agli anziani, preparano vivande, portano l’acqua benedetta nelle case… piccole forme di solidarietà. 

Celebrazioni ridotte, divieto di ingresso ai pellegrini, annullamento dei contatti. In questa emergenza è possibile mantenere un legame con la Terra Santa?
La crisi innescata dal coronavirus cambierà, e molto, le nostre relazioni anche per il futuro. Oggi sentiamo molto la mancanza dei pellegrini nei luoghi santi, che si presentano vuoti ed è fonte di grande dolore. Inoltre, vi sono pesanti riflessi anche sull’economia perché migliaia di persone sono rimaste senza lavoro e molte famiglie versano in condizioni precarie. Dobbiamo restare uniti attraverso la preghiera e i mezzi di comunicazione, in questo senso, aiutano. Noi siamo abituati a ricevere; ora è arrivato il tempo di donare, di aiutarsi… è il tempo della solidarietà. 

Che senso ha la Pasqua nel tempo della pandemia ?
Su questo punto sto riflettendo molto negli ultimi giorni, anche in previsione del messaggio per la Settimana Santa. Siamo tutti colpiti da questa emergenza, che finisce per minare quello che per noi è un fattore costitutivo: la relazione. Oggi non possiamo avere una relazione fisica, le nostre celebrazioni richiedono una presenza fisica. Questa assenza ci invita a curare e rivedere il nostro modo di relazionarci, ripensare i nostri rapporti. L’Eucaristia è relazione che diventa sacramento, dunque l’invito per questi ultimi giorni di Quaresima è riflettere su come viviamo le relazioni, per poi riprenderle in maniera nuova anche sotto il profilo commerciale e finanziario. 

L’emergenza coronavirus è anche un richiamo ai limiti dell’essere umano...
Certo! Questo momento ci ricorda quanto siamo limitati, che siamo creature e non creatori.  Con la scienza abbiamo raggiunto vette e conquiste incredibili e questo finisce per illuderci che possiamo essere artefici del nostro destino. In realtà, basta un piccolo virus e tutto il nostro impianto salta. Non siamo affatto padroni del nostro destino, non ci siamo solo noi sulla terra. Dobbiamo alzare lo sguardo e, per chi ha fede, ricordarci che siamo creature e, se siamo creature c’è anche un creatore. 

Fra paura e incertezze, oggi c’è una maggiore ricerca di Dio?
C'è una sensazione di disorientamento, un venire meno di tanti riferimenti umani e culturali sui quali era improntata la vita, dove forse non c’era posto per lo spirito. Tutto questo ha risvegliato tante domande e tanto desiderio in molte persone che si erano allontanate. Non dico che vi sarà un ritorno immediato alla Chiesa, ma almeno ci si interrogherà su qualcosa di più vero e profondo per la nostra vita.

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