03/09/2023, 17.00
MONGOLIA-VATICANO
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Mons. Tegusbilig, il volto cinese perseguitato del cattolicesimo mongolo

La piccola Chiesa della Mongolia che in questi giorni incontra papa Francesco è legata da un filo rosso alla diocesi cinese di Ningxia, dove fino a tre anni fa viveva l'unico vescovo (clandestino) mongolo della storia della Chiesa cattolica. Noto anche con il nome di Ma Zhongmu, imprigionato per 11 anni per aver rifiutato di aderire all'Associazione patriottica, dopo la Rivoluzione culturale come un pastore aveva radunato uno ad uno il gregge disperso dei cattolici. E tradotto in lingua mongola la Bibbia e il Messale romano.

Milano (AsiaNews) – Le parole rivolte oggi da papa Francesco da Ulan Bator ai cattolici cinesi, insieme al ricordo della presenza di p. Teilhard de Chardin nel deserto di Ordos, non sono solo un segnale alla Cina di oggi. Sono anche un ricordo di un filo rosso importante che lega la piccola comunità cattolica della Mongolia, rinata appena trent’anni fa dopo la lunga stagione del muro comunista, e le missioni cattoliche in Cina. La congregazione belga dei missionari di Scheut, infatti, fin dalla metà dell’Ottocento aveva iniziato la propria opera evangelizzatrice tra i mongoli della regione di Ordos. Avevano studiato a fondo la cultura di queste popolazioni, nella regione cinese della Mongolia Interna avevano anche vissuto il martirio all’inizio del Novecento, all’epoca della rivolta dei Boxer. E il seme da loro gettato ha continuato a germogliare anche dopo la loro espulsione negli anni Cinquanta dalla Repubblica popolare cinese, entro i cui confini oggi vivono più mongoli che in Mongolia.

Non fu, dunque, un caso se la Santa Sede, all’inizio degli anni Novanta, affidò proprio ai missionari di Scheut la missio sui iuris in Mongolia, divenuta poi la prefettura apostolica guidata oggi dal card. Giorgio Marengo. Era un modo per riprendere quello stesso cammino. Ma dentro a questo stesso alveo si inserisce anche un’altra storia che diventa particolarmente significativo oggi ricordare: quella dell’unico vescovo di etnia mongola che la Chiesa cattolica finora abbia avuto; un presule clandestino scomparso appena tre anni fa che a Ningxia, in Cina, nella travagliata storia del Novecento, è stato un testimone straordinario della fedeltà al Vangelo e un grande promotore dell’incontro tra la fede e la cultura mongola. Un esempio di "buon cristiano e buon cittadino", per usare le parole dette oggi dal pontefice.

Il suo nome mongolo era Agtaqin Tegusbilig ma è noto anche con il nome cinese di Ma Zhongmu. Era nato il 1° novembre 1919 nella città di Borobalgasu (Chengchuan) a sud di Ordos, nella Mongolia Interna, appunto. L’origine è importante: nella loro missione di Borobalgasu i missionari di Scheut erano infatti riusciti nel piccolo miracolo di avere insieme fedeli mongoli e cinesi di etnia han. La sua storia è stata raccontata nel dettaglio due anni fa in una pubblicazione del Verbiest Institute di Lovanio, il centro studi sulla Cina dei missionari di Scheut.  

Battezzato con il nome cristiano di Giuseppe, fino all'età di dodici anni Tegusbilig aiutava la famiglia a pascolare il bestiame, una parte del quale apparteneva alla missione cattolica. Nel 1935 entrò nel seminario minore di San Sheng Gong per poi traferirsi ai seminari maggiori di Hohhot e poi Datong (nello Shanxi) per terminare gli studi teologici. Fu ordinato sacerdote il 31 luglio 1947 dal vescovo belga Carlo van Melckebeke, dei missionari di Scheut, allora  vescovo di Ningxia che sarebbe poi stato espulso come tutti i missionari stranieri nel 1952.

Quando i comunisti presero il potere nel 1949 p. Giuseppe Tegusbilig stava frequentando l’università cattolica Fu Ren (allora a Pechino). La campagna per “sopprimere gli elementi controrivoluzionari”, lanciata in tutta la Cina, lo convinse a tornare nella provincia di Ningxia, senza completare i suoi studi. Per alcuni anni svolse lì il suo ministero fino a quando, per essersi rifiutato di aderire all'Associazione patriottica, nel 1958 fu condannato ai lavori forzati come "capo della cricca dei contro-rivoluzionari". Scontò otto anni di carcere e se ne vide poi aggiungere altri tre dopo aver tenuto una "omelia" al direttore del carcere.

Fu rilasciato il 20 aprile 1969 e tornò nella sua città natale: lavorò come operaio in un programma di irrigazione agricola. Solo nel 1979 poté riprendere il suo ministero sacerdotale: a quel punto andò letteralmente a cercare tutti i cattolici nella regione di Ordos, riconducendoli alla Chiesa. Il suo ministero pastorale era rivolto sia ai cattolici han sia ai cattolici mongoli della zona. “Anche se la Rivoluzione Culturale era finita - scriveva su di lui due anni fa p. Paul Urnud del Verbiest Institute di Lovanio -le persone erano come gli uccelli, che si spaventano facilmente al solo tintinnio di una corda d'arco; desideravano profondamente i sacramenti, ma nessuno osava farsi avanti perché avevano ancora paura che la Rivoluzione culturale potesse tornare di nuovo. Il vescovo Ma conosceva le preoccupazioni delle persone e le cercava una per una, una famiglia alla volta. Non aveva cavalli o altri veicoli, andava a piedi; a volte doveva camminare tutto il giorno per incontrare un vecchio cattolico in una zona lontana. La visita del vescovo li confortava; li incoraggiava, dicendo loro: ‘Non preoccupatevi, Dio non si dimentica di noi! Siamo liberi!’ Era un'immagine vivente del Buon Pastore del Vangelo e i fedeli cattolici lo chiamavano santo”.

L'8 novembre 1983 venne consacrato segretamente vescovo della diocesi di Ningxia e non fu mai riconosciuto dalle autorità. Non si occupava solo della vita spirituale dei fedeli, ma si adoperava anche per migliorare le loro condizioni di vita. Sperimentava ogni tipo di coltivazione nella fattoria della chiesa e poi insegnava agli altri come piantare, quali piante crescono facilmente e sono più preziose. Si prese cura di alcuni orfani e offrì sostegno a una cinquantina di studenti fino al completamento della loro istruzione di base. “Ma l’opera più importante – ricorda ancora p. Urnud - fu la costruzione di una nuova chiesa nell'area di Chagantologai nel 1987, che fino al 2014 restò l'unica chiesa mongola, segno di speranza per i cattolici di questo popolo”.

Un’altra sua attività importantissima fu la traduzione di testi religiosi in lingua mongola. Oltre a inni liturgici da lui anche musicati, si diede da fare per tradurre le letture della Messa quotidiana, la Bibbia, il Messale romano ma anche la storia delle apparizioni mariane in tutto il mondo. Si ritirò dal ministero di vescovo nel 2005, continuando ad essere sacerdote tra la sua gente fino a quando nel 2016 un ictus lo costrinse a letto. Morì il 25 marzo 2020, all'età di 101 anni. “La sua fedeltà, il suo duro lavoro, tutta la sua eredità è ricordata nel cuore di chi lo ha conosciuto”, conclude p. Urnud.

 

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