22/04/2020, 08.39
RUSSIA
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Mosca, morto per coronavirus il parroco della cattedrale patriarcale

di Vladimir Rozanskij

Padre Aleksandr Agejkin doveva compiere 49 anni. È entrato improvvisamente in coma il 20 aprile verso mezzanotte, e la mattina del 21 aprile è deceduto. La sua malattia e il decesso aumentano le preoccupazioni per la salute dello stesso patriarca, amico di p. Alexandr. A Mosca, 31 sacerdoti sarebbero positivi. Nel Paese i casi di infezione sono saliti a 50mila. La popolazione è nel panico.

Mosca (AsiaNews) – Nella capitale è morto il parroco della cattedrale dell’Epifania a Elokhovo Aleksandr Agejkin, a causa del coronavirus. Padre Aleksandr doveva compiere 49 anni. Lo ha comunicato la stessa commissione per le misure sul coronavirus del patriarcato di Mosca: il parroco sarebbe entrato improvvisamente in coma verso mezzanotte, e la mattina del 21 aprile è deceduto.

La chiesa dell’Epifania è in realtà la vera cattedrale patriarcale, rimasta aperta anche durante il periodo sovietico, sede ufficiale del patriarca fino al 1991. Dal 1994 cominciò poi la ricostruzione della cattedrale di Cristo Salvatore, la grande chiesa accanto al Cremlino distrutta spettacolarmente da Stalin nel 1931, e poi risorta come simbolo della nuova Russia del post-comunismo. Qui si svolgono le liturgie più solenni, le assisi sinodali e le grandi manifestazioni della Chiesa ortodossa. Ma nella coscienza collettiva la chiesa dell’Epifania, nell’antico quartiere Basmannoe, rimane la vera chiesa patriarcale.

Padre Aleksandr aveva iniziato a servire come parroco a Elokhovo nel 2013, voluto direttamente dal patriarca Kirill (Gundjaev), a cui era molto vicino. Nel 2017 era diventato il vice-amministratore del segretariato del patriarcato di Mosca, e allo stesso tempo aveva l’incarico di presidente del consiglio ecclesiastico-civile presso il patriarca per lo sviluppo del canto russo ecclesiastico. La sua malattia e il decesso aumentano le preoccupazioni per la salute dello stesso patriarca e di molti alti funzionari del patriarcato.

Già all’inizio di aprile i sacerdoti dell’Epifania erano stati messi tutti in quarantena, secondo le comunicazioni della commissione patriarcale. In 15 chiese di Mosca e due monasteri sono stati rilevati casi di infezione, in tutto 31 sacerdoti sarebbero positivi. Anche un’altra chiesa storica del centro di Mosca, quella dell’Annuncio della Resurrezione sul Fiume dell’Assunzione, è rimasta senza sacerdoti a causa del coronavirus. Lo ha comunicato lo stesso parroco Nikolaj Balashov, anch’egli molto vicino al patriarca, in quanto vice-capo del dipartimento per gli affari esterni del patriarcato.

I casi di coronavirus in Russia hanno superato i 50 mila, e cresce nel Paese un sentimento di panico. La statistica delle precedenti epidemie rivela infatti che in casi simili la natalità nel Paese crolla di un 15-20%, accentuando la profonda crisi demografica della Russia, che già perde oltre 300 mila persone all’anno nei numeri complessivi. La popolazione russa, attualmente di 144 milioni circa, rischia di scendere velocemente sotto i 140 milioni. Le previsioni più pessimistiche vengono mitigate da un relativo calo del numero degli aborti negli ultimi anni, anche se è ancora tra i più elevati al mondo.

Negli ultimi giorni, la popolazione russa, mostra inoltre segni sempre più marcati di insofferenza alle misure di isolamento, accompagnati dai timori per la crisi economica conseguente. Nelle principali città della Russia si tengono con ritmo crescente manifestazioni di protesta on-line, chiedendo alle autorità direttive efficaci e aiuti agli strati più bisognosi della popolazione, e maggiori libertà di movimento e attività lavorativa. Le proteste si svolgono lasciando dei segnali sulle carte geografiche virtuali dei maggiori siti, contenenti le richieste alle autorità. Le compagnie principali come Yandex hanno avvisato che saranno costrette a eliminare le funzioni di segnalazione sui loro siti.

Proteste simili si svolgono in molti Paesi russofoni dell’Asia Centrale, per contestare le misure decise dalle autorità, o la mancanza di misure necessarie. Una protesta non virtuale si è svolta la notte del 20 aprile in un villaggio minerario del Kazakistan, nella regione di Atyrau, dove alcuni operai positivi al coronavirus sono stati mandati al lavoro insieme a tutti gli altri. Circa 500 lavoratori hanno rifiutato di scendere in miniera, per paura del virus.

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