29/03/2017, 09.30
RUSSIA
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Mosca, qualcosa di nuovo nelle proteste dei giovani

di Vladimir Rozanskij

Il fatto nuovo non è Alexei Navalny, ma le manifestazioni sostenute dai giovani. Medvedev e il feticcio delle “scarpe da jogging”. Il nazionalismo di Putin perde consensi, anche a causa della crisi economica. La Russia, come il resto del mondo, vede l’impoverirsi della classe media.

Mosca (AsiaNews) - Dopo un triennio di esaltazione patriottica e di plebiscitario consenso alla politica dello “zar” Putin, dovuto in buona parte all’effetto “narcotizzante” del conflitto ucraino e della riconquista della “terra santa” di Crimea, la Russia si è risvegliata nella primavera di quest’anno con la clamorosa e imprevedibile protesta di massa contro la corruzione, sfociata nella manifestazione “delle scarpe da jogging” di domenica 26 marzo scorso. Molti si chiedono se si tratti di un segnale di cambiamento epocale, l’inizio della fine della lunga “stagnazione putiniana”.

In effetti, era dal 2013 che non si vedevano manifestazioni di protesta in piazza, dopo il periodo delle sollevazioni anti-putiniane di piazza Bolotnaja seguite alle elezioni parlamentari del 2011 e a quelle presidenziali del marzo 2012. Allora Putin tornò presidente con voto plebiscitario, dopo la parentesi Medvedev del precedente mandato. La folla protestava in quel caso contro i brogli elettorali che avrebbero permesso al regime di riaffermare un consenso che, in realtà, sembrava meno solido di quanto volesse apparire. Fu in quel periodo che emerse la figura del blogger Aleksej Naval’nyj, attuale segretario del “Partito del Progresso” e presidente della Coalizione Democratica, formata insieme al politico liberale Boris Nemtsov, assassinato nel febbraio 2015. Naval’nyj, arrestato la scorsa domenica e condannato a 15 giorni di detenzione, è uno dei principali punti di riferimento dell’opposizione al regime; già giovane attivista del partito liberale “Yabloko”, ridotto da Putin ai minimi termini parlamentari, è fautore di una svolta anti-oligarchica di sapore nazionalista. Alle elezioni del sindaco di Mosca del 2013, nonostante tutti tentativi governativi di estrometterlo, riuscì a presentare la sua candidatura contro il sindaco putiniano Sergej Sobjanin, ottenendo un lusinghiero 27%, il massimo risultato di opposizione politica dell’ultimo ventennio.

Sembrava che la politica nazionalista del post-Crimea avesse fatto piazza pulita di queste minacce alla politica statale, improntata al recupero dell’orgoglio nazionale e del prestigio internazionale della Russia, rafforzato dall’ondata di populismi in Europa, negli Usa di Trump e un po’ ovunque, che guardano a Putin come a un messia. In realtà, ciò che impressiona dei cortei del 26 marzo non è tanto la forza politica delle opposizioni: Naval’nyj rimane un fenomeno piuttosto isolato e poco conosciuto dalle masse, e non si è formata attorno a lui una vera forza politica di cambiamento. La vera novità è duplice: da un lato l’espressione di uno scontento rispetto ai privilegi dei potenti, e in particolare del premier Medvedev, che mai si era manifestata in modo così esplicito e fragoroso, dall’altro la giovane età dei manifestanti.

Lo slogan della piazza era rivolto anzitutto contro Dmitrij Medvedev, il fedele sodale politico di Putin, asceso con lui a San Pietroburgo dalle nebbie delle trasformazioni sociali del post-comunismo e diventando la sua “spalla” anche nel regno moscovita. La sua figura, prima dello scandalo esploso nell’ultimo mese, era quella di un politico affidabile e moderato, ma decisamente più sbiadito del suo “fratello maggiore” e circondato da una fama di gaffeur che quasi ispirava tenerezza, tanto da chiamarlo col soprannome infantile Dimon. In Russia, del resto, l’uso dei vezzeggiativi infantili non è inferiore al Brasile di Pelé o Kakà, e i due leader sono per tutti “Vovan e Dimon”, col secondo relegato nel ruolo del fratellino imbranato. Invece oggi la figura del primo ministro assume un’aura cupa da vampiro, che si è creato un impero di lussi sfrenati superiore a qualunque altro oligarca russo. Più che le ville e le residenze da sogno, è rimasta simbolica l’impressione suscitata dal numero esorbitante delle sue costose scarpe da jogging, da lui ordinate via internet al ritmo di 20 al mese.

I cartelli delle piazze russe portavano infatti la scritta Non è il nostro Dimon!, a rappresentare simbolicamente la disaffezione del popolo verso la “famiglia” presidenziale e la fine dell’illusione degli “oligarchi buoni” di Putin che avrebbero rimpiazzato gli “oligarchi cattivi” di Eltsin, i vari Berezovskij, Gusinskij e compagnia di cui era stata fatta piazza pulita. Da “Dimon”, la rabbia rischia di spostarsi facilmente contro “Vovan”, anch’egli del resto noto per le tendenze edoniste, che lo avevano fatto diventare intimo amico di Silvio Berlusconi. In realtà, quello che sta avvenendo riflette una situazione ben nota in Occidente negli anni della crisi economica dal 2008 a oggi: l’impoverimento della “classe media” e il timore di non poter sostenere un tenore di vita a cui si era ormai abituata, la radice di tutte le proteste populiste delle società più ricche e delle migrazioni di massa dei popoli desiderosi a loro volta di godere dei vantaggi dell’Occidente. La Russia sta provando a sua volta la morsa della crisi, dovuta certo alle spese belliche e alle sanzioni occidentali, che hanno svuotato i negozi di generi alimentari e prodotti tanto desiderati, come le scarpe da jogging. È un problema di sfasamento dell’economia globale: se i primi a essere colpiti sono stati i Paesi tradizionalmente più ricchi, ora soffrono i paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e le economie a loro collegate, che hanno smesso di crescere in modo esponenziale e rischiano a loro volta di bloccarsi. Se Putin non troverà un modo di rilanciare a sua volta l’economia e i consumi, il suo prossimo mandato rischia di essere quanto mai problematico; non tanto la rielezione nel 2018, comunque non in discussione, ma il reale consenso tra la popolazione, e soprattutto tra gli esponenti dei veri poteri del paese, dalle banche all’esercito.

Di questi giorni, rimane soprattutto l’impressione dei tantissimi giovani e giovanissimi scesi in piazza contro “Dimon” e lo stesso Putin. Proprio una settimana prima, il 18 marzo, si era tentato di organizzare la festa dei tre anni dall’annessione della Crimea, anche arruolando a pagamento il pubblico e con la presenza coatta degli studenti, ma era evidente lo scarso appeal della celebrazione patriottica, soprattutto tra i più giovani. Non a caso Putin non si era fatto vedere, per evitare di appannare il suo mitico consenso popolare. Ora la propaganda governativa tenta di ritorcere sulle manifestazioni di domenica la stessa accusa, accusando Naval’nyj e soci di aver pagato i ragazzini scesi in piazza, tra cui molti minorenni, ma è evidente l’imbarazzo. I giovani hanno cliccato a milioni il video You Tube in cui si denunciano i lussi di Medvedev, e la loro indignazione segna l’emergere di una generazione nuova. Non sono più i ragazzi che ciecamente confidano nella forza del presidente di fronte al mondo, la cosiddetta Putin-Jugend del movimento Nashi (“I nostri”) che sfilava in piazza come i Balilla mussoliniani nei primi anni Duemila. I ragazzi di oggi sono imprevedibili e indecifrabili per tutti gli establishment mondiali. Anche i russi sono ragazzi del mondo in cui viviamo, e questa è una notizia.

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