16/06/2022, 08.52
RUSSIA
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Mosca ritorna ai tempi sovietici

di Vladimir Rozanskij

Il Parlamento russo adotta norme stringenti sulla libertà di espressione: si vogliono colpire gli “agenti stranieri”. Sarebbe un ritorno ai tempi di Stalin e Breznev. Nell’Unione Sovietica di Gorbačëv vi era più libertà che nella Russia di oggi.

Mosca (AsiaNews) – La Duma nazionale ha approvato un nuovo progetto di legge che riporta la libertà di espressione al concetto di “libertà di manifestazione” dei tempi sovietici. Un gruppo di deputati e senatori, Andrej Klimov, Vasilij Piskarev, Andrei Lugovoj, Maria Butina, Rosa Čemeris e Andrej Alševskikh, considerati “la crema del Parlamento”, hanno proposto di “perfezionare la regolazione dello stato di agente straniero”.

Nel progetto si prevede il divieto agli “inoagenty” di svolgere qualunque tipo di attività educativa o formativa, di pubblicare contenuti per l’infanzia, di lavorare nelle istituzioni statali e regionali della pubblica istruzione e una serie di altri divieti. E soprattutto, per evitare qualunque forma di contaminazione, l’assoluto divieto di qualunque forma di pubblica manifestazione.

Sarà proibito alle persone iscritte alla “lista nera”, in cui ormai finiscono tutti coloro che rivolgono critiche al governo, all’esercito e alla politica statale, organizzare riunioni pubbliche, manifestazioni di strada, cortei e riunioni presso gli edifici delle stazioni e delle fermate degli autobus, degli aeroporti, degli edifici e dei territori legati alle istituzioni educative, a quelle sanitarie e di assistenza sociale, agli edifici di culto e di ogni organizzazione religiosa. E come ciliegina sulla torta, sarà proibito radunarsi presso gli edifici degli organi della pubblica amministrazione e nei territori contigui a essi: in pratica ovunque.

Ai cittadini sarà quindi impedito manifestare qualunque forma di dissenso davanti ai palazzi del potere, del Parlamento e del governo, dove si prendono le decisioni che suscitano spesso lo scontento della popolazione, e dove si vorrebbe esprimere il proprio dissenso, mentre si potrà farlo soltanto nel profondo dei boschi. E pensare che la Corte costituzionale russa aveva stabilito nel 2019 che “non si possono innalzare barriere insormontabili per la soddisfazione del diritto dei cittadini alla libertà di riunione pacifica presso gli organi della pubblica amministrazione”, in una sentenza che riguardava la repubblica di Komi nel nord della Russia europea.

La stessa Corte si è pronunciata anche nel 2020, ricordando che arrecare disagi ai cittadini che non intendono partecipare a esse “non può costituire obiezione per negare il diritto ad azioni pacifiche di espressione della propria volontà”. Secondo la Consulta gli organi del potere “sono tenuti a prendere tutte le misure a loro affidate per garantire la possibilità di organizzare manifestazioni in luoghi concordati, senza cercare di trovare in ogni occasione delle cause che giustifichino l’impossibilità di realizzare il diritto a organizzare riunioni pubbliche nei formati previsti dalla legge”.

Tutto questo fa tornare alla memoria la procedura sovietica per l’organizzazione di manifestazioni pubbliche, quando la Costituzione staliniana del 1936, e quella brezneviana del 1977, proclamavano la “libertà di organizzare cortei di strada e altre manifestazioni”. La carta staliniana spiegava che tale libertà deve “corrispondere agli interessi dei lavoratori e agli scopi del rafforzamento del sistema socialista”, e a questo scopo vengono garantiti alle associazioni dei lavoratori “gli edifici e gli spazi sociali”. Simili condizioni apparivano negli anni ’70, limitandosi agli “interessi del popolo”.

I dissidenti sovietici si riunivano senza alcun permesso accanto alle statue dei poeti, di Puškin e Majakovskij, per leggere nuove poesie del pensiero libero finendo poi nei lager e nei manicomi psichiatrici di brezneviana memoria.

Il regime ha permesso libertà di riunione pubblica per la prima volta durante la perestrojka di Gorbačëv. Nel 1987 il leader sovietico aveva promosso la trasparenza della glasnost, che si è affermata con una sentenza del governo locale di Leningrado, poi assunta anche a Riga e a Mosca. Un anno dopo il Presidium del Comitato centrale del Pcus ha approvato poi una norma “sulla libertà di riunione, manifestazione, corteo di strada e dimostrazione” in tutta l’Urss, a cui sarebbe bello poter tornare 34 anni dopo.

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