05/01/2023, 08.44
RUSSIA
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Mosca è sempre più debole in Asia centrale

di Vladimir Rozanskij

I conflitti interni nella regione sono però “figli del periodo sovietico”. Nelle ex repubbliche dell’Urss i giovani non vogliono più imparare il russo. I centrasiatici sanno di dover trovare alternative alla Russia, dopo averla sfruttata fino in fondo.

Mosca (AsiaNews) – Il politologo Temur Umarov del Fondo Carnegie ha fatto un bilancio dialogando con i redattori di Novaja Gazeta Evropa sulle relazioni della Russia con i suoi “migliori amici” ex-sovietici dell’Asia centrale dopo lo sconvolgente 2022 della guerra in Ucraina. L’anno passato, del resto, ha visto una recrudescenza di conflitti anche in questa regione, alcuni vecchi di 30 anni, con inaspettata violenza.

Umarov allarga lo sguardo non solo agli asiatici, ma a tutto lo spazio post-sovietico, che si è “radicalizzato e degradato notevolmente”. I media internazionali hanno rivolto un’attenzione molto maggiore alle tensioni che si trascinavano in queste regioni, soprattutto dopo le rivolte di un anno fa in Kazakistan, che hanno preceduto di poco l’invasione dell’Ucraina. Ora sembra che “qualunque conflitto, interno o interstatale, possa condurre a esiti fatali”.

La guerra è tornata ad essere “strumento principale della politica estera” come in tempi passati, dopo le tragiche mosse di Putin. Il rinfocolare degli scontri e delle proteste in tutti questi Paesi sembra un effetto del ragionamento “se lo fanno loro, possiamo farlo anche noi”, osserva il politologo, perché “tutti i regimi autoritari che sono vicini tra loro, e condividono un passato comune, tendono a scambiarsi gli strumenti e le modalità di azione; non solo l’Asia centrale impara dalla Russia, è un processo che si muove anche in direzione opposta”, come dimostrano le varie leggi sugli “agenti stranieri” e le modifiche costituzionali.

Il fattore decisivo non è tanto la vittoria o la sconfitta nelle operazioni militari, ma “l’ammissibilità dell’uso delle armi in politica”, e nel conflitto tagiko-kirghiso per le frontiere sono risuonate giustificazioni simili a quelle della Russia in Ucraina, nella difesa dei propri connazionali dal “genocidio” operato dal governo del Paese avverso. Il Kirghizistan ha cercato di imitare l’Ucraina, ergendosi a difensore della democrazia contro l’autocrazia di Dušanbe, anche se certo Biškek non può essere paragonata a Kiev nel rispetto dei valori liberali. Del resto, ammette Umarov, “a confronto del Tagikistan quasi tutto sembra una democrazia”.

Tra i tanti fattori in gioco, l’esperto sottolinea l’importanza della “demografia giovanile” dei Paesi dell’Asia centrale rispetto alla Russia, dove l’età media è inferiore a 30 anni, rispetto ai 47 dei russi. “Questa generazione non ha alcuna memoria dell’Unione Sovietica, ed è composta di persone molto diverse da quelle che li governano, che sono di 65 anni e oltre”.

Il ricambio generazionale della classe dirigente è diventata una priorità nei Paesi ex-sovietici, anche con mosse dimostrative come la consegna tra padre e figlio in Turkmenistan e simili iniziative negli altri Paesi, Russia compresa. In queste zone “si radicalizza sempre più la contrapposizione tra governati e governanti”, una variante populista che esprime una grande ostilità ai russi, ritenuti espressione di un vecchio mondo da cancellare, a partire dalla loro lingua padronale che i giovani non vogliono più imparare.

Anche i conflitti interni e regionali sono “figli del periodo sovietico”, come la stessa situazione dell’Ucraina, “quando il regime voleva tenere separate le etnie all’interno delle varie repubbliche, affinchè non si mettessero troppo d’accordo tra di loro”. In realtà le relazioni tra le etnie sono sempre esistite e le commistioni inevitabili, e oggi tutti i nodi vengono al pettine. Un esempio citato da Umarov è quello della valle di Fergana, che a suo tempo era stata divisa tra Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan, “dove la densità della popolazione è maggiore che da altre parti, ed è una zona agricola molto sviluppata, anche se carente di risorse idriche”.

Come ripete un proverbio russo, “l’Oriente è una questione sottile”, nel senso di sfuggente e spesso incomprensibile. I Paesi dell’Asia centrale sono per natura ospitali e pacifici, ma sono anche molto pragmatici, come quando accolgono a braccia aperte i russi in fuga dalla guerra e i loro soldi. Senza essere “così dediti agli affari come i cinesi, sempre più attivi nella regione”, i centrasiatici sanno di dover trovare alternative alla Russia, dopo averla sfruttata fino in fondo, perché il loro futuro ormai parla un’altra lingua.

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