20/02/2008, 00.00
MYANMAR
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Myanmar, dove la Chiesa soffre in silenzio

Un cattolico birmano racconta come dietro la calma e l’apparente possibilità di movimento si cela la più feroce oppressione, che impedisce qualsiasi passo “fuori dal tracciato”. “Siamo come mezze statue e mezzi esseri umani: possiamo sentire, vedere il dolore della nostra gente ma non possiamo parlare”.
Yangon (AsiaNews) – Pubblichiamo la testimonianza - anonima per ovvi motivi di sicurezza - arrivata ad AsiaNews da un cattolico birmano sulla difficile situazione della libertà religiosa nel Paese.
 
La Birmania è un Paese chiuso e anche se è permesso il turismo, nessuno straniero può vedere dall’esterno l’oppressione esercitata dal regime sulla popolazione. Tutto è calmo e pacifico. Ma ognuno di noi, interiormente, è governato da paura, rabbia, frustrazione e tutto quello che desideriamo è essere liberi di vivere. Dobbiamo essere molto cauti in ogni gesto: parlare, cantare, recitare, comporre canti, costruire chiese. Per ognuna di queste azioni si rischia persino la vita. Siamo sotto la legge e loro (la giunta militare) sono sopra la legge. Usano ogni mezzo possibile per raggiungere benefici personali. E ogni modo possibile per ridurre al silenzio il popolo.
 
In questo contesto, qual è la condizione della Chiesa? Alla domanda ci sono più risposte. Quella del governo: “è libera”. Quella delle persone che non conoscono la situazione: “è tutto ok”. Quella di chi non ha interesse alla religione: “non è importante”. Ma quella reale è che siamo liberi di praticare la nostra fede secondo i nostri riti: messe, rosari, preghiere, ma non abbiamo libertà religiosa. I sacerdoti e i religiosi non possono parlare di giustizia, diritti umani, non possono denunciare le ingiustizie che si verificano nel Paese.
 
Dopo i fatti di settembre possiamo più chiaramente vedere quale sia l’approccio dei militari alla religione. Il Myanmar è un Paese a maggioranza buddista e verso i leader religiosi la giunta ha sempre ostentato buoni rapporti. È evidente che si è trattato di uno sfruttamento a fini di propaganda: hanno usato il buddismo come strumento politico. Quando i monaci hanno alzato la testa, il regime non ha esitato a perseguitarli con arresti e uccisioni. I monaci ora subiscono mille restrizioni e molti sono costretti alla fuga o alla latitanza. Alcuni non possono più predicare. I monasteri sono chiusi o “trasferiti”.
 
Se il governo si permette un tale trattamento della comunità di maggioranza, come possiamo dire che per le minoranze ci sia libertà religiosa? I cattolici sono neanche l’1 per cento. Non si vedrà mai un cattolico ricoprire cariche importanti in politica o nel settore pubblico. Molti cattolici devono nascondere la loro fede per sperare di ottenere un impiego decente. Non possiamo costruire parrocchie, stampare libri e molte sono le restrizioni sui raduni. Siamo liberi solo nello spirito, nella nostra relazione con Dio. Ma all’esterno siamo come metà statue e metà esseri umani. Abbiamo bocche, ma non possiamo parlare, orecchie ma è come se non potessimo sentire. Possiamo vedere bambini e adulti chiedere aiuto, ma non possiamo rispondere ai loro bisogni in modo adeguato. A volte è così frustrante che è impossibile non piangere.
 
Come cattolici cerchiamo per quanto possibile cerchiamo di sopravvivere e di testimoniare la nostra fede anche tra numerose difficoltà. Ci sarebbe così tanto da fare! Vi sono ancora molte zone dove bisognerebbe costruire chiese o cappelle. Ma l’edificazione di luoghi di culto è fortemente impedita dal regime. Un parroco, allora, si trova a coprire aree molto vaste tanto che può incontrare i suoi fedeli e dare loro l’Eucarestia solo tre volte l’anno. Si potrebbe fare qualcosa nel campo educativo ma il problema dell’elevata povertà ci taglia le gambe. I bambini smettono di andare a scuola dopo l’asilo, devono lavorare per aiutare i genitori a portare avanti la famiglia; finiscono però per essere sfruttati e privati del loro futuro, sociale e spirituale. La Chiesa birmana soffre, questa è una realtà, ma nonostante ciò trova la forza di crescere e numerose sono le conversioni e le vocazioni missionarie.
 
Il Myanmar non ha una Costituzione dal 1988. Ad oggi non vi è nessuna legge che tuteli la libertà religiosa.
 
 
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