25/12/2021, 11.31
TERRA SANTA
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Natale a Betlemme: 'Diritti e non concessioni per una pace vera'

La messa di mezzanotte presieduta dal patriarca latino di Gerusalemme mons. Pierbattista Pizzaballa nel luogo dove Gesù è nato. Un nuovo appello per "forme sicure di ripresa dei pellegrinaggi nonostante la pandemia". L'omaggio alla "resilienza" della comunità cristiana di Gaza: "Ho imparato da loro che anche nelle situazioni più difficili si può fare spazio all’amore, alla solidarietà, alla gioia". 

Betlemme (AsiaNews) – “Non di concessioni c’è bisogno, ma di diritti, e di porre fine ad anni di occupazione e di violenze, creando relazioni nuove”. Da Betlemme, proprio nella notte di Natale in cui il mondo intero guarda al luogo dove Gesù è nato, il patriarca latino di Gerusalemme mons. Pierbattista Pizzaballa torna a farsi voce del grido di dolore della Palestina senza pace. Lo fa nell’omelia della messa di mezzanotte celebrata come ogni anno nella chiesa di Santa Caterina, prima di scendere nella cripta della basilica della Natività dove una stella sul pavimento indica il luogo della nascita di Gesù. E lo fa con parole che non mancano di indicare una strada per queste “relazioni nuove”, a partire dalla “resilienza” di chi - anche di fronte a una pace "che sembra non arrivare mai” - fa spazio all’amore e alla solidarietà, “senza coltivare sentimenti di odio e di rancore”.

In Terra Santa è un altro Natale ancora senza pellegrini provenienti da tutto il mondo, a causa della chiusura delle frontiere scattata a inizio dicembre a causa della variante Omicron. Il clima è più gioioso rispetto allo scorso anno, quando anche Betlemme era sotto coprifuoco: alla Messa di mezzanotte c’è la comunità cristiana locale, c’è anche un gruppo di cristiani arrivati da Gaza con meno difficoltà da parte delle autorità israeliane, “un piccolo ma importante segno positivo di cui sono estremamente grato” annota il patriarca. Ma la mancanza di pellegrini è una ferita profonda. “Preghiamo per loro - commenta mons. Pizzaballa - e al tempo stesso chiediamo la loro preghiera, perché tutto ciò finisca presto. Preghiamo anche perché torni la gioia nelle tante famiglie che a Betlemme si sostengono grazie ai pellegrinaggi e che, a causa di questa pandemia, da più di due anni, ormai, non lavorano e vivono in una situazione sempre più difficile. Ci auguriamo che con un’azione congiunta di politica, Chiesa e operatori turistici, locali e internazionali, si possano trovare forme sicure di ripresa di questa attività, nonostante la pandemia. È davvero necessario”.

Ma è il messaggio della nascita di Gesù il cuore di questa notte a Betlemme. Ed è lì che il patriarca latino di Gerusalemme invita a guardare: “Per vivere il Natale è necessario udire la voce di Dio. Ma bisogna riconoscere la voce giusta - osserva - perché sono tante le voci che nel Vangelo parlano di Gesù, ma non tutte portano a Lui”. In fondo è una fotografia di tante situazioni di oggi. “In questo tempo di emergenza sanitaria e di prolungata emergenza politica - osserva mons. Pizzaballa - si odono nelle famiglie molte voci diverse: alcune minano la fiducia, tolgono la speranza, spengono l’amore; altre invece sono più incoraggianti, capaci di visione e futuro. Quali testimoni ascoltiamo oggi? In questo ultimo anno, insomma, dove vecchie e nuove crisi ci hanno coinvolto, quale voce abbiamo seguito?”.

Dalla Betlemme dell’annuncio degli angeli ai pastori parla della “Babilonia di annunci, dichiarazioni e moderne profezie, arrivate attraverso i tanti media”. “Abbiamo bisogno di cercare e ritrovare la voce che ci porta a Gesù e alla salvezza, che allarghi i cuori alla speranza. Abbiamo bisogno di testimoni di cui ci fidiamo per ritrovare la via che porta a Betlemme, che ci aiutino ad aprirci al futuro con fiducia, che sappiano vedere e farci vedere il bene che cresce, e non solo il male e il dolore, che pure sono presenti, ma non possono essere il nostro unico criterio di valutazione della situazione attuale”. Ecco allora la domanda chiave di questo Natale 2021: “A quali testimoni - si chiede il presule - abbiamo dato fiducia? Perché, in fondo, è di questo che abbiamo bisogno: di ricostruire la fiducia tra noi, fiducia nel futuro, nostro e dei nostri figli, fiducia nella possibilità di un cambiamento in meglio, sia nella vita civile, sia nella Chiesa”.

È una domanda che vale prima di tutto per la Chiesa. E allora da Betlemme nella notte di Natale mons. Pizzaballa ripensa alle voci ascoltate quest’anno nei Paesi in cui si estende il patriarcato latino di Gerusalemme. Parte dalla voce di papa Francesco appena risuonata a Cipro, Paese anch’esso diviso da muri, segnato da lotte di potere ed enormi interessi per le fonti energetiche, terra di approdo per migliaia di profughi che nell’isola trovano rifugio rimanendo però senza prospettive per il futuro: “il papa - spiega il patriarca - ci ha ricordato il significato della pazienza, che non vuol dire rimanere inerti, ma essere disponibili all’azione imprevedibile dello Spirito Santo, usando il nostro tempo per valorizzare l’ascolto, accogliendo il diverso da noi”.  Cita poi la Giordania, che quest’anno celebra il centenario della fondazione del Regno Hashemita: “uno Stato che, pur segnato da tante difficoltà, insegna ancora oggi ai Paesi del primo mondo cosa siano la solidarietà e l’accoglienza e non ha paura di impegnarsi nel dialogo religioso e politico”.

Per Israele è stato l’anno delle voci sempre più preoccupanti che predicano divisione all’interno della società, emerse soprattutto durante l’ultima guerra di Gaza nel maggio scorso. “Mi riferisco – spiega mons. Pizzaballa - alla crisi di fiducia tra arabi ed ebrei, entrambi cittadini, entrambi abitanti delle stesse città. Questo ci ricorda che la convivenza non si subisce, ma si promuove”. E su questo, aggiunge, la Chiesa ha un compito preciso: “Non mancano nel Paese voci di persone, movimenti, associazioni impegnate nella promozione della coesistenza, del rispetto e dell’accoglienza reciproche. Natale è anche riconoscere e apprezzare chi sa vedere l’altro da sé come dono di Dio”.

Ma è soprattutto dalla Palestina “sempre in attesa di un futuro di pace che sembra non arrivare mai” che alla Chiesa di Terra Santa giunge una voce che ha il suono ormai di “un grido assordante” di dolore. “Un popolo - descrive mons. Pizzaballa - che ha bisogno di fare esperienza di giustizia, che vuole conoscere la libertà, che è stanco di attendere che gli sia concesso di abitare liberamente e con dignità nella propria terra e nella propria casa, che non vuole vivere solo di permessi, in questo momento necessari per entrare, uscire, lavorare o altro, necessari per vivere. Non di concessioni c’è bisogno, ma di diritti, e di porre fine ad anni di occupazione e di violenze, con tutte le loro drammatiche conseguenze sulla vita di ciascuno e della comunità in generale, creando relazioni nuove in cui regni non la diffidenza ma la fiducia reciproca”.

Ma anche in questo grido di dolore ci sono voci che seminano speranza. Il patriarca racconta di aver imparato proprio qui “in che cosa consista concretamente la parola “resilienza”. Visitando la nostra comunità di Gaza, pochi giorni fa – spiega - ho imparato, che anche nelle più difficili situazioni, davvero problematiche, si può fare spazio all’amore, alla solidarietà, alla gioia. Ho incontrato persone che sanno essere attive e costruttive e che, pur coscienti delle enormi difficoltà in cui vivono, non cessano di credere che si possa fare qualcosa di bello per sé e per gli altri, senza coltivare sentimenti di odio e rancore”. Sono queste persone, commenta, a costruire “il Regno di Dio in mezzo a noi, vivendo ogni giorno, non solo oggi, lo spirito vero del Natale”.

Ed è proprio questo l’annuncio della notte di Betlemme: “È vero - annota il patriarca - il male non cessa di infierire sulla vita dei più deboli e indifesi, ma la strada della pace è segnata, ed è ancora oggi la nostra strada. In quel Bambino è l’Amore che entra nel mondo, che rimane in ogni momento della storia, che è un’avventura senza fine e può cambiare davvero tutto”. Ed è un annuncio che attende sempre una risposta personale. “Anche oggi, Dio non solo opera direttamente nel mondo, ma lo fa anche attraverso la nostra partecipazione. Siamo infatti testimoni che quando Gesù si trova al centro della nostra vita, la terra riceve la pace”. A Betlemme come in ogni angolo del mondo.

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