Nell’anniversario del “caso Bolotnaya” l’opposizione russa torna in piazza
Mosca (AsiaNews) - Qualcuno li ha definiti "ostaggi" del Cremlino. Secondo altri, sono i protagonisti del "più grande processo politico dell'anno" in Russia. Qualcosa di simile ai "processi di Mosca", voluti da Stalin dal 1936 al '38, tra accuse montate e confessioni forzate, azzardano alcuni. Sono i prigionieri politici della maxi inchiesta sul "caso Bolotnaya". Si tratta, per ora, di 28 persone tra attivisti, studenti universitari, manager, artisti e pensionati, incriminati per la loro partecipazione alla "Marcia del milione", la grande manifestazione anti-Putin del 6 maggio 2012, finita con gravi scontri tra dimostranti e polizia in piazza Bolotnaya, in pieno centro a Mosca.
Qui, nel giorno del primo anniversario di quei fatti, si svolgerà un raduno indetto dal Comitato di coordinamento dell'opposizione, l'organismo eletto via internet da migliaia di russi l'anno scorso, dopo mesi di proteste anti-governative. Tra il crescente malcontento popolare, a metà 2012 Mosca ha varato una legge, che ha inasprito le pene per chi viola le norme sulle manifestazioni. Nel giro di meno di un anno, sono arrivate a 28 le persone incriminate per "organizzazione o partecipazione ai disordini di massa" del 6 maggio. Di queste, 19 sono da mesi in custodia cautelare (in carcere o agli arresti domiciliari) e cinque sotto obbligo di firma. Tra gli incriminati, uno (Aleksandr Dolmatov) è morto suicida in Olanda, a gennaio, dopo che Amsterdam aveva respinto la sua richiesta di asilo. Altri due sono stati già condannati, dopo sospette confessioni. Con l'accusa di aver organizzato i disordini, al fine di rovesciare il governo è in carcere Leonid Razvozzhayev e agli arresti domiciliari il leader del Fronte di sinistra, Serghei Udaltsov. Di aver finanziato i presunti golpisti, è accusato il politico georgiano Givi Targamadze, ora sulla lista dei ricercati.
Secondo difensori per i diritti umani, l'accusa di "disordini di massa" è infondata e l'indagine "non imparziale". Vladimir Ryzhkov - membro del partito liberal-democratico, Parnas - fa notare che il Codice penale (art 212) definisce "disordini di massa" i casi di "distruzione di proprietà, uso di armi o oggetti esplosivi, massacri e incendi". Cose che il 6 maggio non si sono verificate, secondo quanto risulta da un'inchiesta indipendente, pubblicata ad aprile e confermata anche dal Consiglio presidenziale per i diritti umani. Gli scontri, si sostiene nelle 700 pagine del rapporto, sono avvenuti per colpa delle forze dell'ordine che hanno impedito l'accesso dei manifestanti al percorso concordato con le autorità, creando panico, fomentato poi da alcuni provocatori col volto coperto, che hanno lanciato bottiglie molotov e pezzi di asfalto. Di questi, nessuno è stato identificato. Alcuni poliziotti sono stati feriti, ma non vi è stata alcuna indagine sul comportamento delle forze dell'ordine, che da video e foto si vedono più volte maltrattare manifestanti inermi. Anzi. In molti tra gli agenti feriti hanno ricevuto appartamenti gratuiti, come risarcimento.
Lo scorso 8 aprile, gli inquirenti hanno detto di aver quasi concluso le indagini e che nelle prossime settimane potrebbero aprirsi altri processi. Nel frattempo il "caso Bolotnaya" è arrivato alla Corte europea dei diritti dell'Uomo. "Questo processo potrebbe diventare il culmine dell'attacco alla società civile, cominciato con gli scontri di piazza Bolotnaya - ha detto l'analista politico Nikolai Petrov a Radio Free Europe - la protesta del 6 maggio 2012 è un vero punto di svolta, l'apice delle relazioni tra le autorità e la parte attiva della società civile russa. L'evoluzione di queste relazioni dipenderà molto dalla posizione che il Cremlino assumerà su questa vicenda".
16/08/2022 08:32