14/05/2005, 00.00
CINA
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Operazione della polizia contro l'azienda e il figlio dell'esiliata Rebiya Kadeer

New York (AsiaNews/Agenzie) – La polizia cinese vuole arrestare un figlio della dissidente musulmana uighuri Rebiya Kadeer, emigrata negli Usa, ha invaso la sua azienda e percosso e arrestato i suoi dipendenti. La "rappresaglia" è denunciata dalla Ong Human rigths watch.

"Sembra che il governo cinese voglia eliminare ogni legame che lei ha lasciato, distruggere i suoi affari e ridurre al silenzio il figlio" dichiara Brad Adams, responsabile asiatico per Hrw.

Mercoledì 11 maggio sono stati arrestati due dipendenti della sua ditta, la Kadeer trade center. "Due giorni dopo oltre 100 poliziotti hanno fatto irruzione nella ditta e hanno portato via tutti i documenti trovati. La polizia voleva anche prendere suo figlio, Ablikim Abdiriyim, ma è riuscito a scappare e si ignora dove sia. Un suo amico è stato percosso e trattenuto perché non sapeva dove fosse Ablikim; è stato rilasciato solo dopo che ha firmato un impegno a non frequentare più la famiglia Kadeer o la loro azienda", aggiunge. Ablikim era stato arrestato con la madre nel 1999 e tenuto per 2 anni in un campo di "rieducazione".

La Kadeer era stata arrestata nel 1999 per "illegale rivelazione all'estero di informazioni segrete", per avere mandato fotocopie di ritagli di giornali al marito negli Stati Uniti, ed è rimasta per anni in carcere, in isolamento e priva della necessaria assistenza medica. E' stata liberata in marzo "per ragioni di salute" e le è stato consentito l'espatrio, grazie a ripetute richieste internazionali e in corrispondenza con il viaggio in Cina del segretario di stato Usa, Condoleeza Rice. E' impegnata nella difesa dei musulmani uighuri contro le persecuzioni di Pechino, che ne teme le spinte autonomiste: questa etnia, con lingua e tradizioni proprie, costituisce la maggioranza tra i 19 milioni di abitanti dello Xinjiang, regione settentrionale ricca di petrolio  che era indipendente dalla Cina fino al 1949 (l'ex Turkestan Orientale). La Cina da molti anni perseguita questa etnia, con il carcere e la sistematica eliminazione di ogni loro identità (sono persino distrutti i libri delle biblioteche locali in lingua uighuri e negli incarichi pubblici e in ogni ambito economico sono preferite persone di altre etnie).

Prima del rilascio, era stata minacciata che "i suoi affari e i figli sarebbero stati colpiti" se non taceva. Al contrario, la donna ha parlato con giornalisti e politici e ha continuato la lotta per il rispetto dei diritti umani in Cina. (PB)

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