25/11/2012, 00.00
VATICANO
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Papa ai nuovi cardinali: Testimoniare il regno di Dio di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze

Alla messa concelebrata con i nuovi cardinali creati ieri, Benedetto XVI opera una netta separazione fra il "regno di Dio" e ogni regno terreno: non armi, violenza, potere, ma testimonianza della verità e dell'amore. Essere discepoli di Cristo nella sua regalità significa convertirsi e donare la vita per le persone amate. Il card. Harvey: Il papa ci dona la testimonianza di una teologia elaborata "stando in ginocchio". L'impegno per la missione ad gentes e la nuova evangelizzazione. All'Angelus il pontefice sottolinea che i nuovi porporati mostrano l'universalità della Chiesa, provenendo da Libano, India, Nigeria, Colombia, Filippine.

Città del Vaticano (AsiaNews) - "A voi, cari e venerati Fratelli Cardinali - penso in particolare a quelli creati ieri - viene affidata questa impegnativa responsabilità: dare testimonianza al regno di Dio, alla verità. Ciò significa far emergere sempre la priorità di Dio e della sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze". È l'esortazione di Benedetto XVI rivolta a tutto il collegio dei cardinali radunato in san Pietro per la tradizionale eucarestia insieme ai nuovi porporati creati ieri. Con il pontefice concelebrano

James Michael Harvey, arciprete della basilica papale di San Paolo fuori le Mura; Sua Beatitudine Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti (Libano); Sua Beatitudine Baselios Cleemis Thottunkal, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi (India); John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja (Nigeria); Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotà (Colombia), e Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila (Filippine).

Tutti questi nuovi cardinali sono rappresentanti di Chiese che subiscono persecuzione o si scontrano con poteri fondamentalisti, mafiosi, politici, militari: dalla Nigeria, coi recenti massacri nelle chiese ad opera dei fondamentalisti di Boko Haram, al Libano, che dopo una lunga guerra civile ora è scosso dalla guerra civile in Siria; dalle Filippine, dove poteri economici e politici vogliono da anni imporre il controllo sulle nascite, all'India dove la minoranza cristiana è spesso oggetto di emarginazione e violenza da parte di gruppi nazionalisti indù. E perfino il card. Harvey, già prefetto della casa pontificia, ha dovuto affrontare l'ondata di disprezzo di poteri occulti che hanno creato i Vatileaks.

Nella sua omelia, il papa stabilisce un confine molto chiaro e netto: "Il regno di Dio è un regno completamente diverso da quelli terreni"; "essere discepoli di Gesù significa... non lasciarsi affascinare dalla logica mondana del potere, ma portare nel mondo la luce della verità e dell'amore di Dio".

Il pontefice dice queste parole commentando le letture della messa di oggi, in cui la Chiesa celebra Gesù Cristo Re dell'universo. Riferendosi al vangelo (Giov. 18,33-37), egli spiega: "Gesù si trova in una situazione umiliante - quella di accusato -, davanti al potere romano. E' stato arrestato, insultato, schernito, e ora i suoi nemici sperano di ottenerne la condanna al supplizio della croce. L'hanno presentato a Pilato come uno che aspira al potere politico, come il sedicente re dei Giudei. Il procuratore romano compie la sua indagine e interroga Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?» (Gv 18,33). Rispondendo a questa domanda, Gesù chiarisce la natura del suo regno e della sua stessa messianicità, che non è potere mondano, ma amore che serve; Egli afferma che il suo regno non va assolutamente confuso con un qualsiasi regno politico: «Il mio regno non è di questo mondo ... non è di quaggiù» (v. 36).

E' chiaro che Gesù non ha nessuna ambizione politica. Dopo la moltiplicazione dei pani, la gente, entusiasmata dal miracolo, lo voleva prendere per farlo re, per rovesciare il potere romano e stabilire così un nuovo regno politico, che sarebbe stato considerato come il regno di Dio tanto atteso. Ma Gesù sa che il regno di Dio è di tutt'altro genere, non si basa sulle armi e sulla violenza. Ed è proprio la moltiplicazione dei pani che diventa, da un lato, segno della sua messianicità, ma, dall'altro, uno spartiacque nella sua attività: da quel momento il cammino verso la Croce si fa sempre più chiaro; lì, nel supremo atto di amore, risplenderà il regno promesso, il regno di Dio. Ma la folla non comprende, è delusa, e Gesù si ritira sul monte da solo a pregare (cfr Gv 6,1-15). Nel racconto della Passione vediamo come anche i discepoli, pur avendo condiviso la vita con Gesù e ascoltato le sue parole, pensavano ad un regno politico, instaurato anche con l'aiuto della forza. Nel Getsemani, Pietro aveva sfoderato la sua spada e iniziato a combattere, ma Gesù lo aveva fermato (cfr Gv 18,10-11). Egli non vuole essere difeso con le armi, ma vuole compiere la volontà del Padre fino in fondo e stabilire il suo regno non con le armi e la violenza, ma con l'apparente debolezza dell'amore che dona la vita".

"Gesù - continua - parla di re, di regno, ma il riferimento non è al dominio, bensì alla verità. Pilato non comprende: ci può essere un potere che non si ottiene con mezzi umani? Un potere che non risponda alla logica del dominio e della forza? Gesù è venuto per rivelare e portare una nuova regalità, quella di Dio; è venuto per rendere testimonianza alla verità di un Dio che è amore (cfr 1 Gv 4,8.16) e che vuole stabilire un regno di giustizia, di amore e di pace (cfr Prefazio). Chi è aperto all'amore, ascolta questa testimonianza e l'accoglie con fede, per entrare nel regno di Dio".

Riferendosi poi alla prima lettura (Daniele 7,13-14), aggiunge: "il potere del vero Messia, potere che non tramonta mai e che non sarà mai distrutto, non è quello dei regni della terra che sorgono e cadono, ma è quello della verità e dell'amore. Con ciò comprendiamo come la regalità annunciata da Gesù nelle parabole e rivelata in modo aperto ed esplicito davanti al Procuratore romano, è la regalità della verità, l'unica che dà a tutte le cose la loro luce e la loro grandezza".

La regalità di Cristo ha conseguenze per tutti noi perché "anche noi partecipiamo alla regalità di Cristo". Benedetto XVI prende spunto dalla seconda lettura (Apocalisse 1,5-8) :"Nell'acclamazione rivolta a «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue» [Giovanni] dichiara che Cristo «ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (1,5-6). Anche qui è chiaro che si tratta di un regno fondato sulla relazione con Dio, con la verità, e non di un regno politico. Con il suo sacrificio, Gesù ci ha aperto la strada per un rapporto profondo con Dio: in Lui siamo diventati veri figli adottivi, siamo resi così partecipi della sua regalità sul mondo. Essere discepoli di Gesù significa, allora, non lasciarsi affascinare dalla logica mondana del potere, ma portare nel mondo la luce della verità e dell'amore di Dio".

"L'autore dell'Apocalisse - continua - ... ci ricorda che la conversione, come risposta alla grazia divina, è la condizione per l'instaurazione di questo regno (cfr 1,7). E' un forte invito rivolto a tutti e a ciascuno: convertirsi sempre di nuovo al regno di Dio, alla signoria di Dio, della Verità, nella nostra vita. Lo invochiamo quotidianamente nella preghiera del "Padre nostro" con le parole "Venga il tuo regno", che è dire a Gesù: Signore facci essere tuoi, vivi in noi, raccogli l'umanità dispersa e sofferente, perché in Te tutto sia sottomesso al Padre della misericordia e dell'amore".

E conclude: "A voi, cari e venerati Fratelli Cardinali - penso in particolare a quelli creati ieri - viene affidata questa impegnativa responsabilità: dare testimonianza al regno di Dio, alla verità. Ciò significa far emergere sempre la priorità di Dio e della sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze. Fatevi imitatori di Gesù, il quale, davanti a Pilato, nella situazione umiliante descritta dal Vangelo, ha manifestato la sua gloria: quella di amare sino all'estremo, donando la propria vita per le persone amate. Questa è la rivelazione del regno di Gesù. E per questo, con un cuore solo ed un'anima sola, preghiamo: «Adveniat regnum tuum». Amen".

All'inizio della messa, il card. Harvey, a nome di tutti i nuovi cardinali, aveva rivolto un breve discorso di saluto a Benedetto XVI. Dopo aver detto la sua gratitudine per essere stato chiamato nel collegio, il card. Harvey ha espresso un profondo giudizio sul pontificato di papa Ratzinger: "Padre Santo, quando accettò l'onere del Ministero Petrino nel 2005, la Chiesa e il mondo La conoscevano come una mente eletta, come uno dei grandi teologi del nostro tempo. Ora, dopo più di sette anni e mezzo, la Chiesa e il mondo hanno potuto conoscerLa meglio; essi hanno compreso che la Sua straordinaria padronanza delle verità della dottrina cristiana e la Sua singolare capacità di rendere vive tali verità attraverso le catechesi e le omelie, affondano le loro radici in una fede profonda: questa Sua fede, ne siamo certi, si è arricchita lungo una vita di studio e di insegnamento, guidata dalla regula fidei e nutrita dalla Liturgia della Chiesa. La Sua vita di studioso - come sacerdote e professore, come vescovo diocesano, come Prefetto nella Curia Romana, e da ultimo come Vescovo di Roma - è stata una lezione vivente attestante che la teologia più profonda non è quella articolata a tavolino, ma quella elaborata stando in ginocchio".

Egli ha poi concluso con la decisione a partecipare insieme al papa alla nuova evangelizzazione: "La Chiesa esiste per rispondere alla Grande Missione di predicare il Vangelo ad gentes. In questo provvidenziale Anno della Fede, noi cercheremo con maggiore vigore di mettere a servizio del mondo il dono più bello di cui siamo resi capaci: condividere con tutta l'umanità la Via, la Verità e la Vita, Colui che avvicina dolcemente i fratelli e le sorelle al Trono della Grazia affinché si compia pienamente il loro destino umano.

Nell'accettare dalle Sue mani l'onore del Cardinalato, ci impegniamo con piena volontà, sorretti dalla Grazia divina, ad essere operatori perseveranti e responsabili della Nuova Evangelizzazione".

Alla fine della messa, Benedetto XVI si è affacciato dalla finestra del suo studio per la preghiera dell'Angelus insieme ai fedeli in piazza san Pietro. Egli ha ricordato ancora il valore della festa di oggi e della regalità di Gesù Cristo: "Tutta la missione di Gesù e il contenuto del suo messaggio - ha detto - consistono nell'annunciare il Regno di Dio e attuarlo in mezzo agli uomini con segni e prodigi. «Ma - come ricorda il Concilio Vaticano II - innanzitutto il Regno si manifesta nella stessa persona di Cristo» (Cost. dogm. Lumen gentium, 5), che lo ha instaurato mediante la sua morte in croce e la sua risurrezione, con cui si è manifestato quale Signore e Messia e Sacerdote in eterno. Questo Regno di Cristo è stato affidato alla Chiesa, che ne è «germe» ed «inizio» e ha il compito di annunciarlo e diffonderlo tra tutte le genti, con la forza dello Spirito Santo (cfr ibid.). Al termine del tempo stabilito, il Signore consegnerà a Dio Padre il Regno e gli presenterà tutti coloro che hanno vissuto secondo il comandamento dell'amore".

Il pontefice ha poi invitato i fedeli a pregare per i nuovi cardinali: "Questi nuovi membri del Collegio Cardinalizio - ha spiegato - ben rappresentano la dimensione universale della Chiesa: sono Pastori di Chiese nel Libano, in India, in Nigeria, in Colombia, nelle Filippine, e uno di essi è da lungo tempo al servizio della Santa Sede. Invochiamo la protezione di Maria Santissima su ciascuno di essi e sui fedeli affidati al loro servizio. La Vergine ci aiuti tutti a vivere il tempo presente in attesa del ritorno del Signore, chiedendo con forza a Dio: «Venga il tuo Regno», e compiendo quelle opere di luce che ci avvicinano sempre più al Cielo, consapevoli che, nelle tormentate vicende della storia, Dio continua a costruire il suo Regno di amore".

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