17/02/2022, 13.55
VATICANO
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Papa: cari preti, siate fratelli non operai stanchi

Nel discorso al simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio” promosso dalla Congregazione per i vescovi papa Francesco ha indicato ai preti di tutto il mondo “quattro vicinanze” da coltivare: a Dio, al vescovo, tra presbiteri e in mezzo alla gente. Non un trattato, ma un “piccolo raccolto” della sua vita sacerdotale.

Città del Vaticano (AsiaNews) - Non un trattato di teologia su chi è il prete, ma un “piccolo raccolto” di quello che il sacerdote Jorge Mario Bergoglio ha imparato stando accanto a tanti confratelli. “Non so se queste riflessioni sono il canto del cigno della mia vita sacerdotale, ma di certo posso assicurare che vengono dalla mia esperienza”. Ha introdotto così, oggi, papa Francesco il lungo discorso rivolto al simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”, in corso in Vaticano in questi giorni per iniziativa della Congregazione per i vescovi. Rivolgendosi ai partecipanti il pontefice ha affrontato molti temi, compresa la “crisi vocazionale che in diversi luoghi affligge le nostre comunità”, spesso dovuta a “un’assenza di fervore apostolico contagioso” che non tocca solo i sacerdoti (“anche dove non sono molto impegnati e gioiosi” – ha osservato – talvolta capita che sia “la vita fraterna della comunità a suscitare il desiderio di consacrarsi a Dio”). Ma il papa ha soprattutto tratteggiato una serie di atteggiamenti “che danno solidità alla figura del sacerdote”, quattro “colonne costitutive” che ha chiamato le “quattro vicinanze”.

Innanzi tutto la vicinanza a Dio. “Senza una relazione significativa con il Signore - ha spiegato - il nostro ministero è destinato a diventare sterile. La vicinanza con Gesù, il contatto con la sua Parola, ci permette di confrontare la nostra vita con la sua e imparare a non scandalizzarci di niente di quanto ci accade, a difenderci dagli ‘scandali’”. Come nella vita di Gesù anche il prete sperimenta, infatti, “i momenti di gioia e di feste nuziali, di miracoli e di guarigioni, di moltiplicazione di pani”, ma “verranno anche ore di ingratitudine, di rifiuto, di dubbio e di solitudine, fino a dover dire: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’(Mt 27,46)”.

È proprio la vicinanza con Dio la chiave per affrontare queste situazioni. “Molte crisi sacerdotali – ha ammonito – hanno all’origine proprio una scarsa vita di preghiera”, che rende il prete “un’operaio stanco che non gode dei benefici degli amici del Signore”. Ma perché un sacerdote può trovarsi a far fatica a pregare? “Si fa fatica a rinunciare all’attivismo – ha risposto Francesco -, perché quando si smette di affaccendarsi non viene subito nel cuore la pace, ma la desolazione; e pur di non entrare in desolazione, si è disposti a non fermarsi mai. Ma è proprio accettando la desolazione che viene dal silenzio, dal digiuno di attività e di parole, dal coraggio di esaminarci con sincerità, che tutto assume una luce e una pace che non poggiano più sulle nostre forze e sulle nostre capacità”. Ed è questa capacità di “abbracciare, accettare e presentare la propria miseria nella vicinanza al Signore”, la scuola migliore che insegna al sacerdote anche a “fare spazio a tutta la miseria e al dolore che incontrerà quotidianamente nel suo ministero”.

Una seconda vicinanza da coltivare è quella con il vescovo, incarnata dall’obbedienza che – ha spiegato il papa – non va letta “solo in maniera unilaterale”. È una dimensione di “comunione”, un legame che unisce oltre “ogni tentazione di chiusura, di autogiustificazione e di fare una vita ‘da scapolo’”. “L’obbedienza – ha aggiunto ancora - è la scelta fondamentale di accogliere chi è posto davanti a noi come segno concreto di quel sacramento universale di salvezza che è la Chiesa. Obbedienza che può essere anche confronto, ascolto e, in alcuni casi, tensione. Ma non si rompe”. E presuppone - dall’altro lato, nei vescovi - “umiltà, capacità di ascolto, di autocritica e di lasciarsi aiutare”.

Una terza vicinanza è quella tra presbiteri nella fraternità; è proprio la mancanza di questa vicinanza a causare spesso la solitudine di molti preti. La fraternità - ha ammonito il papa - non può essere considerata dagli stessi sacerdoti “un’utopia, un luogo comune per suscitare bei sentimenti o parole di circostanza in un discorso tranquillizzante. Tutti sappiamo quanto può essere difficile vivere in comunità, ma l’amore fraterno, se non vogliamo edulcorarlo, accomodarlo, sminuirlo, è la ‘grande profezia’ che in questa società dello scarto siamo chiamati a vivere”. E là dove “funziona la fraternità sacerdotale e ci sono legami di vera amicizia, lì è anche possibile vivere con più serenità anche la scelta celibataria”. Perché – ha commentato il pontefice - il celibato è un dono che la Chiesa latina custodisce, ma “senza amici e senza preghiera può diventare un peso insopportabile e una contro-testimonianza alla bellezza stessa del sacerdozio”. 

Infine la vicinanza al popolo, perché come ha ripetuto ancora una volta Francesco “il posto di ogni sacerdote è in mezzo alla gente”. “Il popolo di Dio spera di trovare pastori con lo stile di Gesù - e non ‘chierici di stato’ o ‘professionisti del sacro’; pastori che sappiano di compassione, di opportunità; uomini coraggiosi, capaci di fermarsi davanti a chi è ferito e di tendere la mano; uomini contemplativi che, nella vicinanza al loro popolo, possano annunciare sulle piaghe del mondo la forza operante della Risurrezione”. Stare tra la gente - ha aggiunto ancora - aiuta a non “dimenticare che la vita sacerdotale si deve ad altri – al Signore e alle persone da Lui affidate –. Questa dimenticanza sta alla base del clericalismo e delle sue conseguenze”. Il clericalismo che – al contrario del modello delle “quattro vicinanze” - si nutre di “lontananze” e per questo è una perversione del sacerdozio.

Di qui l’invocazione: “Possa il Signore – ha concluso il papa - visitare i suoi sacerdoti nella preghiera, nel vescovo, nei fratelli presbiteri e nel suo popolo. Scompagini la routine e disturbi un po’, susciti l’inquietudine – come al tempo del primo amore –, metta in moto tutte le capacità affinché la nostra gente abbia vita e vita in abbondanza (cfr Gv 10,10)”.

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