29/07/2022, 09.43
VATICANO-CANADA
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Papa: nel mondo secolarizzato senza armature per difenderci

Nella cattedrale di Notre Dame de Quebec il discorso di Francesco ai vescovi, al clero e agli operatori pastorali del Canada. "Ritorniamo al primo annuncio: a chi non ha ancora abbracciato il Signore nella vita non possiamo presumere di comunicare la gioia della fede presentando aspetti secondari, ripetendo alcune pratiche o replicando le forme pastorali del passato".  

Quebec (AsiaNews) – Una Chiesa libera dalle nostalgie del passato, che non deve difendersi dal mondo ma donargli la gioia del Vangelo. È l’orizzonte che Francesco ieri sera ha consegnato alla Chiesa del Canada incontrando nella cattedrale di Notre Dame de Quebec i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, i seminaristi e gli operatori pastorali. Con loro ha affrontato un altro dei grandi temi della presenza della Chiesa nel Canada di oggi: il rapporto con un contesto fortemente ormai segnato dalla secolarizzazione.

“La nostra Chiesa – ha chiesto - esprime la gioia del Vangelo? Nelle nostre comunità c’è una fede che attira per la gioia che comunica? Se vogliamo affrontare alla radice questi interrogativi – ha risposto - non possiamo fare a meno di riflettere su ciò che, nella realtà del nostro tempo, minaccia la gioia della fede e rischia di oscurarla, mettendo seriamente in crisi l’esperienza cristiana. Viene subito da pensare alla secolarizzazione, che da tempo ha ormai trasformato lo stile di vita delle donne e degli uomini di oggi, lasciando Dio quasi sullo sfondo”.

“Quando osserviamo la cultura in cui siamo immersi, i suoi linguaggi e i suoi simboli – ha osservato papa Francesco - occorre stare attenti a non restare prigionieri del pessimismo e del risentimento, lasciandoci andare a giudizi negativi o a inutili nostalgie”. Per il papa occorre andare oltre quello sguardo negativo, frutto di “una fede che, sentendosi attaccata, si concepisce come una specie di 'armatura' per difendersi dal mondo, rischiando di convertirsi in uno ‘spirito da crociata’. Stiamo attenti a questo – ha ammonito - perché non è cristiano; non è infatti il modo di fare di Dio. Il Signore, che detesta la mondanità, ha uno sguardo buono sul mondo. Egli benedice la nostra vita, dice bene di noi e della nostra realtà, si incarna nelle situazioni della storia non per condannare, ma per far germogliare il seme del Regno proprio là dove sembrano trionfare le tenebre”.

“Se ci fermiamo a uno sguardo negativo – ha proseguito Francesco - finiremo per negare l’incarnazione, perché fuggiremo la realtà, anziché incarnarci in essa. Ci chiuderemo in noi stessi, piangeremo sulle nostre perdite, ci lamenteremo continuamente e cadremo nella tristezza e nel pessimismo, che non vengono mai da Dio”. Si tratta invece di “avere uno sguardo simile a quello di Dio, che sa distinguere il bene ed è ostinato nel cercarlo, nel vederlo e nell’alimentarlo. Non è uno sguardo ingenuo, ma uno sguardo che discerne la realtà”.

Ricordando la distinzione tra secolarizzazione e secolarismo - proposta da Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelli nuntiandi – papa Francesco ha invitato a guardarsi dal rischio “di far passare un messaggio sbagliato, come se dietro alla critica sulla secolarizzazione ci fosse da parte nostra la nostalgia di un mondo sacralizzato, di una società di altri tempi nella quale la Chiesa e i suoi ministri avevano più potere e rilevanza sociale”. Al contrario “la secolarizzazione è una sfida per la nostra immaginazione pastorale. Lo sguardo che discerne, mentre ci fa vedere le difficoltà che abbiamo nel trasmettere la gioia della fede, ci stimola a ritrovare una nuova passione per l’evangelizzazione, a cercare nuovi linguaggi, a cambiare alcune priorità pastorali, ad andare all’essenziale”.

Di qui l’invito a coltivare “uno stile di vita personale ed ecclesiale che possa far riaccendere il desiderio del Signore, infondere speranza, trasmettere fiducia e credibilità”. Un cammino nel quale ha indicato in particolare tre sfide. Innanzi tutto far conoscere Gesù, ritornando al primo annuncio. “Non possiamo presumere di comunicare la gioia della fede – ha commentato il pontefice - presentando aspetti secondari a chi non ha ancora abbracciato il Signore nella vita, oppure soltanto ripetendo alcune pratiche o replicando le forme pastorali del passato. Occorre trovare vie nuove per annunciare il cuore del Vangelo a quanti non hanno ancora incontrato Cristo”.

Ma il primo annuncio chiede credibilità ed ecco allora la seconda sfida, quella della testimonianza. “Il Vangelo – ha spiegato Francesco - si annuncia in modo efficace quando è la vita a parlare, a rivelare quella libertà che fa liberi gli altri, quella compassione che non chiede nulla in cambio, quella misericordia che senza parole parla di Cristo”. Su questo il papa ha citato anche il cammino di purificazione richiesto non solo in Canada dallo scandalo degli abusi sessuali commessi contro minori e persone vulnerabili, “scandali che richiedono azioni forti e una lotta irreversibile”.

Infine, la terza sfida: la fraternità. “Si tratta di vivere una comunità cristiana che così diventa scuola di umanità, dove si impara a volersi bene come fratelli e sorelle, disposti a lavorare insieme per il bene comune. Chiediamoci: come va la fraternità tra di noi? Siamo fratelli o concorrenti divisi in partiti? E come sono le nostre relazioni con chi non è “dei nostri”, con chi non crede, con chi ha tradizioni e usi diversi? Questa è la via – ha concluso - promuovere relazioni di fraternità con tutti, con i fratelli e le sorelle indigeni, con ogni sorella e fratello che incontriamo, perché nel volto di ognuno si riflette la presenza di Dio”.

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