22/08/2018, 10.41
VATICANO
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Papa: rispettare il nome di Dio significa che ‘ci affidiamo a Lui con tutto quello che siamo’

Illustrando il comandamento «Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio», Francesco afferma che esso “ci chiama a dimostrare, con le nostre ‎azioni e parole, la grandezza e la profondità del Santo nome con cui siamo stati ‎chiamati”. Insegnare ai bambini a fare bene il segno della Croce.

Città del Vaticano (AsiaNews) – C’è l’invito a un rapporto con Dio “senza ipocrisie, a una relazione in cui ci affidiamo a Lui con tutto quello che siamo” nel comandamento che dice di non pronunciarne invano il nome. “Rispettare il nome del Signore” è stato l’argomento della meditazione di papa Francesco per l’udienza generale di oggi nella quale è tornato anche a ribadire l’invito a insegnare ai bambini a “fare bene il segno della croce”.

Alle ottomila persone presenti nell’aula Paolo VI, Francesco ha detto che nel comandamento «Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio» (Es 20,7), “l’espressione «invano» vuol dire: «a vuoto, vanamente». Fa riferimento a un involucro vuoto, a una forma priva di contenuto. È la caratteristica dell’ipocrisia, del formalismo e della menzogna. Usare il nome di Dio ‘vuoto’”.

“Il nome nella Bibbia è la verità intima delle cose e soprattutto delle persone. Il nome rappresenta spesso la missione. Ad esempio, Abramo nella Genesi (cfr 17,5) e Simon Pietro nei Vangeli (cfr Gv 1,42) ricevono un nome nuovo per indicare il cambiamento della direzione della loro vita. E conoscere veramente il nome di Dio porta alla trasformazione della propria vita: dal momento in cui Mosè conosce il nome di Dio la sua storia cambia (cfr Es 3,13-15)”.

“Il nome di Dio, nei riti ebraici, viene proclamato solennemente nel Giorno del Grande Perdono, e il popolo viene perdonato perché per mezzo del nome si viene a contatto con la vita stessa di Dio che è misericordia. Allora ‘prendere su di sé il nome di Dio’ vuol dire assumere su di noi la sua realtà, entrare in una relazione forte, stretta con Lui. Per noi cristiani, questo comandamento è il richiamo a ricordarci che siamo battezzati «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo», come affermiamo ogni volta che facciamo su noi stessi il segno della croce, per vivere le nostre azioni quotidiane in comunione sentita e reale con Dio, cioè nel suo amore. E su questo vorrei ribadire ancora una volta: insegnate ai bambini a fare il segno della croce”.

“Ci si può domandare: è possibile prendere su di sé il nome di Dio in maniera ipocrita, come una formalità, a vuoto? La risposta è purtroppo positiva: sì, è possibile. Si può vivere una relazione falsa con Dio”. “E questa Parola del Decalogo è proprio l’invito a un rapporto con Dio senza ipocrisie, a una relazione in cui ci affidiamo a Lui con tutto quello che siamo. In fondo, fino al giorno in cui non rischiamo l’esistenza con il Signore, toccando con mano che in Lui si trova la vita, facciamo solo teorie”.

“Questo è il cristianesimo che tocca i cuori”. “Perché i santi sono così capaci di toccare il cuore?”. “Perché nei santi vediamo quello che il nostro cuore profondamente desidera: autenticità, relazioni vere, radicalità. E questo si vede anche in quei ‘santi della porta accanto’ che sono, ad esempio, i genitori che danno ai figli l’esempio di una vita coerente, semplice, onesta e generosa. Se si moltiplicano i cristiani che prendono su di sé il nome di Dio senza falsità – praticando così la prima domanda del Padre Nostro, «sia santificato il tuo nome» – l’annuncio della Chiesa viene più ascoltato e risulta più credibile. Se la nostra vita concreta manifesta il nome di Dio, si vede quanto è bello il Battesimo e che grande dono è l’Eucaristia! quale sublime unione ci sia fra il nostro corpo e il Corpo di Cristo, Cristo in noi e noi in Lui! Questo non è ipocrisia, questa è verità”.

“Dalla croce di Cristo in poi, nessuno può disprezzare sé stesso e pensare male della propria esistenza. Nessuno e mai! Qualunque cosa abbia fatto. Perché il nome di ognuno di noi è sulle spalle di Cristo. Vale la pena di prendere su noi il nome di Dio perché Lui si è fatto carico del nostro nome fino in fondo, anche del male che c’è in noi, si è fatto carico per perdonarci, per mettere nel nostro cuore il suo amore. Per questo Dio proclama in questo comandamento: ‘Prendimi su di te, perché io ti ho preso su di me’. Chiunque può invocare il santo nome del Signore, che è Amore fedele e misericordioso, in qualunque situazione si trovi. Dio non dirà mai di ‘no’ a un cuore che lo invoca sinceramente”.

“È un coman‎damento – ha sottolineato nel saluto ai fedeli arabi - che ci insegna a pronunciare il nome di Dio solo per glorificarlo e ado‎rarlo, e mai per utilizzarlo o sfruttarlo; ci chiama a dimostrare, con le nostre ‎azioni e parole, la grandezza e la profondità del Santo nome con cui siamo stati ‎chiamati”.

Nel saluto ai fedeli italiani, infine, Francesco ha avuto un pensiero per le vittime della tragedia, avvenuta nei giorni scorsi in Calabria, dove hanno perso la vita escursionisti provenienti da varie regioni d’Italia e ha chiesto di pregare “affinché il prossimo viaggio a Dublino, il 25 e 26 agosto prossimi, in occasione dell’Incontro Mondiale delle Famiglie, sia un momento di grazia e di ascolto della voce delle famiglie cristiane di tutto il mondo”.

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