01/03/2024, 13.09
ISRAELE - PALESTINA
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Parroco di Gaza: la strage del pane mostra l’urgenza della tregua, ‘estremo’ bisogno di cibo

Almeno 112 morti e oltre 760 feriti nell’assalto al convoglio Onu di aiuti. Hamas e Israele si rimpallano le responsabilità, negoziati a rischio. P. Romanelli: ogni giorno vittime delle bombe e fame generalizzata, necessario un cessate il fuoco perché “la situazione è davvero grave”. L’esercito israeliano torna a colpire nelle vicinanze della parrocchia, il sostegno di papa Francesco. 

Gerusalemme (AsiaNews) - L’assalto al convoglio di aiuti, la “strage del pane” figlia della fame che si vive ogni giorno a Gaza, è lo specchio della guerra lanciata da Israele ad Hamas in risposta all’attacco del 7 ottobre scorso da parte dei miliziani che controllano la Striscia. Un conflitto in cui la mancanza di cibo uccide come le bombe e che ieri ha fatto registrare l’ennesimo capitolo di una tragedia che finisce per colpire soprattutto la popolazione civile: secondo le Nazioni Unite almeno 576mila persone, pari a un quarto della popolazione, deve affrontare livelli “catastrofici” di insicurezza alimentare. Le 112 vittime e gli oltre 760 feriti riferiti da fonti palestinesi nel massacro che si è consumato attorno al convoglio Onu che trasportava beni di prima necessità, col consueto scambio di accuse fra Stato ebraico e Hamas, sono la conseguenza di una realtà che si fa sempre più drammatica. Il ministero palestinese della Sanità riferisce del decesso, in questi giorni, di 10 bambini per “disidratazione e malnutrizione” negli ospedali del nord. 

“Le vittime dei bombardamenti sono numerose ogni giorno, e continuano a salire, ma è altrettanto vero che la fame è molta, ed è generalizzata, una condizione comune nella Striscia ma soprattutto a nord, perché dall’inizio della guerra faticano ad entrare aiuti”. P. Gabriel Romanelli, parroco della Sacra Famiglia a Gaza, bloccato a Gerusalemme (prima ancora a Betlemme) e impossibilitato a tornare nella Striscia dell’inizio del conflitto per la chiusura delle frontiere imposta da Israele, definisce sempre più “urgente” il cessate il fuoco. Interrompere il ricorso alle armi, sottolinea ad AsiaNews il sacerdote argentino del Verbo incarnato, e al tempo stesso inviare aiuti: “Le persone muoiono - racconta - perché hanno estremo bisogno di cibo, acqua, medicinali” e quanto è successo ieri “è il segnale che la situazione è davvero grave”. 

Nel 145mo giorno di guerra nella Striscia il bilancio aggiornato parla di oltre 30mila morti e più di 70mila feriti sul versante palestinese, che seguono le 1200 vittime circa dell’attacco terrorista di Hamas nel sud di Israele del 7 ottobre scorso, che ha scatenato la risposta militare dello Stato ebraico. A questo si aggiungono i decessi per la fame e la disperazione, come avvenuto ieri quando - secondo Hamas - l’esercito israeliano (Idf) ha aperto il fuoco ad altezza uomo sulla folla in cerca di assistenza alimentare in un caotico corpo a corpo. Nel mirino un convoglio di 30 camion con aiuti e preso d’assalto all’alba, in un quadro di crescente disperazione che aveva spinto le Nazioni Unite a sospendere le distribuzioni proprio per il timore di un incidente. Diversa la versione di Israele su quanto accaduto a nord di Gaza: i militari avrebbero esploso colpi di avvertimento in aria per disperdere la folla, ma nella confusione generale diverse persone sarebbero state travolte e uccise.

Fonti rilanciate da Associated Press (Ap) riferiscono che le truppe israeliane hanno aperto il fuoco sui civili, che cercavano di prelevare dai camion sacchi di farina e scatolame. In un primo momento gli assalitori si sono nascosti, per poi tornare ai mezzi; al nuovo tentativo i militari con la stella di David hanno risposto sparando nuovamente sulla folla e provocando la carneficina. Generale e unanime la condanna dei Paesi arabi per quanto è avvenuto, mentre il presidente degli Stati Unti Joe Biden teme che possa ostacolare - se non affossare - il margine di trattativa sui negoziati finalizzati alla liberazione degli ostaggi israeliani e un cessate il fuoco. Una priorità, anche perché un quarto dei 2,3 milioni di palestinesi della Striscia rischia di morire di fame, mentre l’80% circa ha dovuto abbandonare le proprie case, molte delle quali ormai distrutte in un quadro di caos generale.

Intanto nella parrocchia della Sacra Famiglia, come nel resto della Striscia, “si cerca di andare avanti e di resistere” riprende p. Romanelli, ma “la situazione è grave perché dopo qualche settimana di calma nei bombardamenti sono tornate a cadere le bombe”. In particolare, prosegue, “nel nostro quartiere di al-Zeitun” dove le persone “vivono in uno stato di angoscia. Si era parlato di tregua, di un cessate il fuoco con scambio di ostaggi, ma sembra che le parole e gli appelli siano destinati a cadere nel vuoto. Invece di fermarsi - afferma il parroco - l’impressione è che vogliano andare avanti con la guerra” in un’escalation che fa paura, mentre le persone soffrono la fame.

“A Rafah è urgente fermare i bombardamenti - spiega p. Romanelli - ma al tempo stesso è importante garantire cibo e aiuti, anche nel nord, nella stessa città di Gaza dove vi sono almeno 400mila persone in condizione di estremo bisogno”. “Viviamo in un clima, e in un mondo, polarizzato - afferma - in cui appare sempre più difficile il dialogo. Ma proprio per questo la prima cosa è il cessate il fuoco, ogni giorno in più di guerra è la continuazione di un massacro. Ma se tante porte restano chiuse, le persone innocenti muoiono e poi vi sono gli oltre 70mila feriti, dei quali sono una manciata ha ricevuto cure”. Infine un pensiero, e un ringraziamento, a papa Francesco che ogni giorno chiama il vice-parroco, p. Jusuf Asad, come “ha fatto anche ieri: lo ha chiamato - conclude p. Romanelli - per dirgli che aveva letto la lettera del padre di famiglia al figlio e di averli benedetti entrambi… [il pontefice] prega per tutti loro”.

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