22/02/2022, 09.57
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Parroco di Gaza: ricostruire ‘con ottimismo’ dalle macerie della guerra

di Dario Salvi

Nella Striscia si vive una fase di relativa calma, anche le tensioni a Gerusalemme sono (per ora) una eco lontana. Una libreria, il restauro di una chiesa bizantina e la scoperta di un cimitero romano segni di rinascita e speranza. I permessi di uscita fondamentali non solo per visitare i luoghi santi, ma per scongiurare il pericolo di endogamia. 

Gaza (AsiaNews) - La Striscia vive una fase “di relativa calma” dopo due anni durissimi di “chiusura totale” prima per il Covid-19, poi per la guerra del maggio scorso che ha di fatto sigillato le frontiere. Il parroco di Gaza p. Gabriel Romanelli, sacerdote argentino del Verbo incarnato, racconta ad AsiaNews un clima “più tranquillo, di notte non si sentono più - almeno per il momento - le azioni militari”. A volte, aggiunge, “non si avverte nemmeno il ronzio dei droni che sorvolano continuamente l’area. E questo è un buon segno, che induce serenità e aiuta rispetto alle chiusure, alle violenze, al conflitto”.

Una ripresa che passa anche da un “recupero economico” per una realtà che dipende “da aiuti esterni” e dai (parziali) sblocchi alle frontiere di Israele ed Egitto. Per una vera ripresa, spiega il sacerdote, servono più permessi e il consolidamento di una tregua che sia davvero efficace e duratura. “Dobbiamo continuare a lavorare sui traumi - sottolinea - che vediamo ogni giorno non solo nelle parrocchie, ma anche nelle scuole. Vediamo situazioni di disagio e il solo miglioramento economico” non vuol dire che la situazione è risolta; “serve tempo per guarire” a livello culturale, sociale e sanitario. Intanto la popolazione presta sempre meno attenzione alle notizie di scontri e tensioni e “vive alla giornata” smettendo “di credere alle promesse” di politici e leader, fra ferite “mai sanate” e una pace che resta “sin troppo fragile”.  

Le macerie della guerra

Ad alimentare la tensione fra Israele e Palestina, poi sfociata in conflitto aperto nella Striscia a maggio, le proteste palestinesi per la decisione della Corte suprema israeliana di sgomberare alcune case nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est. Le manifestazioni sono degenerate in scontri violenti, con incidenti e violazioni da entrambe le parti. Il 7 maggio l’escalation ha coinvolto anche il complesso della moschea di al-Aqsa, per poi degenerare in tafferugli con centinaia di feriti; nel frattempo il procuratore generale israeliano Avichai Mandelblit decideva di posticipare di 30 giorni la sentenza sul quartiere conteso, ma ciò non è bastato a riportare la calma. Il 10 alcuni attacchi di Hamas e della Jihad islamica (JI) hanno innescato la risposta dell’esercito israeliano con scontri e operazioni militari su entrambi i fronti, proseguiti fino al 21 del mese.

Il bilancio della guerra-lampo parla di 13 civili israeliani uccisi dai razzi di Hamas e JI, fra i quali vi sono anche due bambini; almeno le 114 persone ferite.  Secondo il ministero della Sanità di Gaza, i morti nella Striscia sono almeno 256 (civili e miliziani), di cui 66 minori. Oltre alla scia di sangue, il conflitto ha lasciato alle spalle un cumulo di macerie e devastazioni che si sono sommate a una situazione già precaria in quella che molti definiscono una prigione a cielo aperto. L’ufficio Onu per gli affari umanitari riferisce della distruzione di 258 edifici e del danneggiamento di 53 scuole, 11 cliniche e sei ospedali. La mediazione di Egitto e Qatar ha favorito il raggiungimento di un cessate il fuoco dopo 11 giorni di combattimenti, mentre le due parti in lotta esaltavano una vittoria che ha valore per la propaganda, senza riscontri sul terreno. 

Segni di rinascita

Dalla libreria alla chiesa bizantina, passando per il cimitero romano del primo secolo dopo Cristo - e le sue 20 tombe con ornamenti e decorazioni - gli abitanti di Gaza riscoprono il passato per guardare al futuro con rinnovata speranza. Dopo un lungo lavoro di restauro, a metà mese è stata inaugurata una chiesa risalente al V secolo che i miliziani di Hamas hanno voluto celebrare come un segno ai “fratelli cristiani”. I resti sono emersi nel 1997 durante alcuni lavori a Jabalia, località a nord di Gaza e secondo p. Romanelli testimoniano che “all’inizio riti diversi erano capaci di convivere” e questo “è segno di speranza anche per l’oggi”. L’area archeologica è vasta circa 800 mq e la parte più preziosa è costituita da un mosaico che raffigura scene di caccia e palme, oggi visibile attraverso una passerella rialzata in legno. In origine le mura erano affrescate con passaggi tratti da testi religiosi in greco antico del periodo dell’imperatore Teodosio, fra il 408 e il 450 d.C; il costo complessivo del restauro è di 250mila euro. 

A Gaza si registra anche “la più importante” scoperta archeologica degli ultimi 10 anni: un cimitero romano del primo secolo, con al suo interno ancora conservate 20 tombe contenenti ornamenti e decorazioni. Dalle prime indagini sembra che appartengano a persone di rango elevato e risalgano all’impero romano data la loro disposizione da est a ovest, diversamente dai cimiteri musulmani in cui l’orientamento è nord-sud. Al momento il sito - situato nella zona nord della Striscia - è ancora interdetto ai visitatori, ma l’obiettivo è di renderlo fruibile in un futuro prossimo con visite guidate. 

Infine, a nove mesi dalla distruzione causata dal conflitto ha riaperto a metà febbraio la storica - e più importante - libreria di Gaza, che ha potuto beneficiare di libri e volumi elargiti da un gruppo di donatori britannici attraverso una raccolta fondi. L’edificio di cinque piani che ospitava (al pianterreno) la libreria di Samir Mansour era ridotto ad un cumulo di macerie e detriti dalle bombe, che hanno incenerito i circa 100mila volumi presenti al suo interno. Aperta negli anni duemila nei pressi di tre università, la libreria era frequentata da studenti e appassionati di lettura e ciò che la rendeva unica era la possibilità di recuperare online ogni tipo di volume, anche quelli non immediatamente disponibili alla vendita. Oggi è tornata a nuova vita con spazi ancora ampi e un catalogo più vasto per soddisfare i gusti di un numero crescente di persone, dai bambini agli adulti, in arabo e in inglese per un totale di 400mila volumi. Alla cerimonia di inaugurazione lo stesso Mansour ha sottolineato che “la distruzione non ci ha piegato, anzi ci ha resi ancora più forti”. 

Lo sguardo al futuro

Dal 2007, anno di ascesa al potere di Hamas nella Striscia, i cristiani sono passati da 7mila ai poco più di mille attuali (134 i cattolici), una percentuale minima rispetto al totale di 2,3 milioni di persone. Un piccolo gregge, al quale p. Romanelli guarda con ottimismo “perché dopo 27 anni di missione in Medio oriente sono convinto che si possa arrivare a una soluzione”. “Il popolo palestinese e il popolo israeliano - spiega - sono stanchi dei tanti conflitti da una parte e dall’altra del muro e vorrebbero vivere in pace. Ma per costruire la pace serve la giustizia, e perché sia fatta giustizia come sottolineava Giovanni Paolo II serve la riconciliazione, soprattutto nel caso di conflitti così complicati con un numero così alto di morti. Bisogna dialogare, nel profondo, per giungere a una soluzione e dare vita a uno Stato indipendente anche per i palestinesi, come è oggi per gli israeliani, perché entrambi possano coesistere”.

Per quanto riguarda i cristiani, il parrocco sottolinea l’importanza dei permessi rilasciati quest’anno da Israele in occasione del Natale e che hanno consentito a centinaia di fedeli di visitare Gerusalemme, Betlemme, ricongiungersi con familiari e amici “grazie anche al prezioso lavoro svolto dal Patriarcato latino di Gerusalemme”. Queste visite, osserva p. Romanelli, “sono una esigenza umana e sociale per mantenere la presenza cristiana”. Se non si alimenta dall’esterno la comunità “il rischio a breve è quello di una endogamia, di sposarsi fra consanguinei. I permessi di uscita non servono solo a visitare i luoghi santi, ma per dare vita a nuove unioni”. Certo, la Striscia “resta sempre una prigione a cielo aperto”, ma si intravedono i “primi segni di rilassamento. Non dobbiamo fermarci a questi risultati, dobbiamo continuare a pregare e lavorare per alimentare il desiderio di pace e giustizia oltre a una maggiore collaborazione fra Chiese”. 

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