10/03/2009, 00.00
ITALIA
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Piero Gheddo: La missione è annuncio di Cristo, non generica filantropia

di Piero Gheddo
La crisi della missione è un segno della crisi di fede: queste parole di Giovanni Paolo II sono fatte proprie dal sacerdote missionario giornalista p. Piero Gheddo. Nel suo ultimo libro offre il suo contributo a capire i problemi della Chiesa italiana e quelli di molte riviste missionarie, arrotolate su questioni sociali, politiche, ideologiche e poco attente al bisogno di annuncio cristiano che avvolge i popoli.

Roma (AsiaNews) – “Ho tanta fiducia”: questa è l’ultimissima fatica di p. Piero Gheddo, il libro in cui con l’aiuto del giornalista Roberto Beretta, il sacerdote del Pime “più famoso d’Italia” rispende a 80 domande su politica, missione, globalizzazione, povertà, Chiesa, società, in uno sguardo a 360 gradi sul mondo, che fa emergere la fede e la cultura del missionario 80enne, che ha viaggiato a tutte le latitudini e ha vissuto il giornalismo come la sua missione.

Padre Piero Gheddo, che è stato direttore della rivista “Mondo e missione” e “IM” per decenni, è anche il fondatore di AsiaNews: già nell’86 egli aveva compreso l’importanza di questo continente per la missione della Chiesa e per la comunità mondiale e ha lanciato il bollettino da cui è nata poi (nel 2003), il sito AsiaNews.it.

Fra le tante gustose domande e sapienti risposte, presentiamo qui la domanda in cui si parla proprio dell’evangelizzazione attraverso i media, o meglio del fallimento di molti media cattolici nel presentare a tutto tondo la missione cristiana, che è annuncio, testimonianza, carità, martirio. Troppo spesso, dice p. Gheddo, le riviste missionarie si soffermano ai problemi sociali, politici, economici dei popoli, senza presentare alcun interesse per il Vangelo. Ma questa messa della fede sotto tono è il risultato di una carenza di fede nella stessa comunità cristiana, una specie di relativismo religioso che svuota il cristianesimo dall’interno. (BC)

 

 

Una volta esisteva l’animazione missionaria, le giornate e le riviste missionarie, le Pontificie opere missionarie, gli istituti missionari. Oggi della “missione alle genti” si parla sempre meno. Come mai?

La crisi della missione alle genti testimonia la crisi di fede nella Chiesa del nostro tempo. Nella “Redemptoris Missio” Giovanni Paolo II ha scritto (n. 2) che “la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento, non certo in linea con le indicazioni del Concilio e del magistero successivo… Questo è un fatto che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della Chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata un segno di vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi della fede”. E aggiunge: “La fede si rafforza donandola!”.

    “Soltanto nella fede si comprende e si fonda la missione” (n. 4); e ancora: “La missione è un problema di fede, è l’indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi” (n. 11). Perché il Papa congiunge così strettamente la missione alle genti con la fede in Cristo? Perché, secondo la logica umana, andare ad annunziare Cristo a popoli lontani che hanno già una loro religione, con tutte le urgenze ed emergenze che abbiamo oggi in Italia e nella Chiesa italiana, è pura pazzia! E allora, si discute e si trovano mille motivi per dire che occorre fare scelte più logiche, più attuali, che non mandare missionari e missionarie a disturbare popoli i cui governi magari non ci vogliono: “Hanno già loro vescovi, preti e suore, noi cosa andiamo a fare?”; “E’ assurdo andare a testimoniare la fede ad altri popoli, quando la stiamo perdendo in Italia”; “Anche le religioni non cristiane hanno i loro valori, perché andare ad  annunziare Gesù Cristo, quando si salvano anche se sono buoni buddhisti, buoni musulmani, buoni indù?”; “Milioni di non cristiani vengono a lavorare in Italia. Incominciamo a preoccuparci di loro!”; “Oggi è il momento di unire tutte le forze religiose per combattere contro la guerra, le ingiustizie a livello mondiale, per realizzare la solidarietà fra Nord e Sud del mondo. Che senso ha ancora la missione alle genti?”.

     Ecco alcune delle domande che mi fanno, in ambienti ecclesiali, quando parlo in diocesi e parrocchie sul tema missionario e che, appunto, dimostrano la crisi della missione ad gentes e quindi anche la crisi di fede in Gesù Cristo, unico Salvatore dell’uomo e del mondo.

    Nel 2002 un lettore scrive ad una importante rivista missionaria italiana: "Ogni tanto vi leggo e mi chiedo: perché la chiamate 'rivista missionaria'? L'impressione netta che si ricava dai vostri articoli è che la salvezza non viene da Gesù Cristo (quante volte è nominato?), né che l'annunzio del Vangelo è il primo compito dei missionari, ma che la salvezza è un problema sociale, politico ed economico. Senza dire che, in una rivista di cristiani, è auspicabile una minore parzialità: perché tirare sempre in ballo Berlusconi, anche quando c'entra come i cavoli a merenda? Volendo essere una rivista missionaria, date ai lettori la consapevolezza che il mondo cambia e il male è vinto, anzitutto e realmente, con la conversione dell'uomo al Vangelo. Non inculcate (certo senza intenzione) lo spirito di lotta tra ricchi e poveri, che innesca la spirale dell'odio, da cui vengono tutti i mali. Cristo ci libera dal peccato e chi ne è libero fa le opere della giustizia. Don Emilio Colombo, Buscate (Mi)".

    Ho sentito l'impulso di telefonare al parroco di Buscate per complimentarmi con lui: ha centrato in poche righe quello che oggi è il dramma di parte della stampa missionaria e non della minore. Leggendo certe riviste "missionarie" penso anch'io: dov'è finito Gesù Cristo? Dov'è finita la Chiesa, il cui compito primario è di annunziare Cristo ai popoli? Che immagine diamo della nostra "vocazione missionaria"?

    La stampa missionaria deve trasmettere ai lettori la coscienza che la fede è il più grande dono che Dio ci ha fatto e dobbiamo testimoniarlo e comunicarlo agli altri; deve far riscoprire Cristo come unico Salvatore dell'uomo, suscitare l'amore a Cristo e la passione di portarlo a tutti i popoli. Se non comunica questi sentimenti e si dedica ad altri compiti, può realizzare buone azioni sociali, culturali, politiche, sindacali, ma non è più "stampa missionaria". O no? Oggi la Chiesa rischia, a volte, di apparire come un'agenzia umanitaria, una specie di Croce Rossa Internazionale di pronto intervento per i casi più urgenti. Enzo Bianchi, ragionando su questo tema, scrive: "La pastorale dominante oggi nelle parrocchie è quella che porta i nomi del volontariato, dell'impegno, dell'attivismo, in cui cioè un cristiano passa praticamente il suo tempo di vita ecclesiale in opere filantropiche, impegnato nell'organizzazione della carità. Tutto questo trasforma la Chiesa in un'istituzione filantropica tra le altre, che non è più in grado di pronunziare quella parola di salvezza..."[1].

    Madre Teresa diceva che "la più grande disgrazia del popolo indiano è di non conoscere Gesù Cristo". Il dono più grande che possiamo fare ai popoli è il Vangelo: come missionari ne siamo convinti, ma poi, nelle riviste missionarie, questo non risulta più evidente, si dà per scontato, non se ne parla mai o quasi mai. Nel Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 1979, Giovanni Paolo II scriveva: “L’attività missionaria si presenta come lo strumento più idoneo ed efficace per risolvere non pochi dei mali del mondo contemporaneo, ingiustizia, oppressione, emarginazione, sfruttamento, solitudine”. Quando diciamo che Cristo salva gli uomini, in genere noi pensiamo subito alla vita eterna. Sì, è vero, salva nella vita eterna, ma salva anche in questa vita, sia i singoli uomini che le famiglie e le comunità umane. In una parola, il cristiano autentico (non quello solo di facciata) ha nella vita una marcia in più. Le comunità cristiane, a parità di condizioni, si sviluppano più e meglio di quelle non cristiane (l’ho sentito ripetere molte volte nelle missioni), non per qualche miracolistico intervento della Provvidenza, ma appunto perché hanno assorbito l’esempio di Cristo, “uomo per gli altri”, quindi sono più portate all’impegno nel lavoro, al perdono, all’onestà naturale, all’amore verso tutti, alla solidarietà, alla coscienza dei loro diritti e doveri.u<ndo diciamo che Gesù Cristo salva, in genere noi pensiamonsubito alla vita eterna.

 

    Paolo VI scrive ("Evangelii Nuntiandi", 32): "Molti cristiani, anche generosi e sensibili alle questioni drammatiche che racchiude il problema della liberazione, volendo impegnare la Chiesa nello sforzo di liberazione, hanno spesso la tentazione di ridurre la sua missione alle dimensioni di un progetto semplicemente temporale; la salvezza di cui essa è messaggera, e sacramento, a un benessere materiale; la sua attività, trascurando ogni preoccupazione spirituale e religiosa, a iniziative di ordine politico o sociale. Ma se così fosse, la Chiesa perderebbe il suo significato fondamentale. Il suo messaggio di liberazione non avrebbe più alcuna originalità e finirebbe per essere accaparrato e manipolato da sistemi ideologici e da partiti politici".

 Mi chiedo: perché gli istituti missionari e i loro organismi unitari (Cimi, Fesmi, Suam, Emi, ecc.) non si interrogano su questo problema, che rischia di far perdere al nostro popolo l'immagine autentica del missionario e della sua vocazione? Ci lamentiamo della scarsità di vocazioni missionarie: ma che immagine diamo di noi stessi e dei nostri istituti ai giovani? E' pensabile che un giovane doni tutta la sua vita alla missione, entri in un istituto missionario, maschile o femminile, per un motivo diverso che da un profondo amore a Gesù Cristo? E allora, dove, nelle nostre riviste, proclamiamo e testimoniamo che la fede e l'amore e l'imitazione di Cristo sono l'unica chiave di salvezza per l'umanità?

[1] Enzo Bianchi, "Ricominciare nell'anima, nella Chiesa, nel mondo", a cura di Marco Guzzi, Marietti 1991, pag. 50.

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