15/05/2025, 11.30
MYANMAR
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Rakhine: guerra senza fine e la crisi dei Rohingya resta irrisolta

di Lisa Bongiovanni

Continuano i bombardamenti nello Stato occidentale birmano da anni cuore delle tensioni con la minoranza musulmana. L’Arakan Army amministra oggi gran parte della regione, ma resta irrisolta la questione dei Rohingya, tutt'ora nel mirino dei tre eserciti che si contendono il territorio. Il Bangladesh, cercando il supporto della Cina, ha proposto la creazione di uno Stato indipendente, ma l’iniziativa non ha avuto seguito.

Yangon (AsiaNews) – La giunta militare birmana sta continuando a bombardare la popolazione del Myanmar: oltre agli attacchi contro una scuola in cui sono morte almeno 25 persone (perlopiù bambini), gli aerei dell’aviazione hanno preso di mira anche il villaggio di Tun Yawai, nel distretto di Rathedaung, uccidendo diversi civili. “Dodici case sono state completamente distrutte. Sono stati rinvenuti tredici corpi e più di venti persone sono rimaste ferite. Si teme che altre vittime siano ancora intrappolate sotto le macerie, quindi il numero delle vittime potrebbe aumentare”, ha affermato un portavoce dell’Arakan Army (AA), principale milizia etnica del territorio.

Nonostante la crisi umanitaria causata dal recente terremoto gli scontri continuano, in particolare a Kyaukphyu, cuore dello Stato occidentale del Rakhine e zona di importanza strategica per gli interessi della giunta. Secondo l'AA, dal 28 marzo, giorno in cui si è verificato il sisma, sono stati effettuati più di 500 attacchi solo nel Rakhine. Anche l’Arakan Army continua ad avanzare, colpendo non solo le truppe della giunta, ma anche la popolazione Rohingya.

I Rohingya non rientrano tra le 135 riconosciute ufficialmente dalla legislazione nazionale birmana, restando così di fatto una popolazione apolide. Storicamente la loro presenza si concentra nella regione del Rakhine, soprattutto lungo il confine con il Bangladesh. In tutta la regione dellArakan, nome utilizzato prima che la giunta militare lo rinominasse Rakhine nel 1989, si stima che la minoranza di fede islamica rappresenti solo il 20% della popolazione, mentre la maggioranza è costituita dai membri dell’etnia Rakhine o arakanese, perlopiù buddhisti, pari a oltre il 75%.

Nella regione si scontrano tutt’ora tre milizie: l’Arakan Army (AA), lesercito della giunta militare (Tatmadaw) e l’Esercito per la salvezza dei Rohingya nel Rakhine (ARSA), considerato un gruppo terroristico che si propone di proteggere i Rohingya.

Durante la guerra civile, conseguenza del colpo di stato militare del febbraio 2021, la giunta ha sfruttato le divisioni etniche all’interno della regione per indebolire l’AA e mantenere il potere. La giunta è stata infatti accusata di aver facilitato il rientro dell’ARSA nello Stato nel tentativo di contrastare l’avanzata dellAA, coerentemente con una politica di divide et impera”. Sia l’ARSA che il Tatmadaw hanno cercato di reclutare con la forza i membri della minoranza: le Nazioni Unite contano quasi 2mila giovani profughi Rohingya rapiti in Bangladesh - nei campi profughi di Coxs Bazar, i più affollati al mondo - e costretti ad arruolarsi con la giunta.

Dall’inizio del 2024 la zona del Rakhine non è più sotto il controllo della giunta militare. L’AA  controlla circa l’80% dello Stato, 14 dei 17 distretti totali, lasciando alla giunta solo Sittwe, la capitale, Kyaukphyu, porto strategico che suscita gli interessi della Cina, e l'isola di Manaung.

L’amministrazione del territorio è gestita dalla United League of Arakan (ULA), l’ala politica dellArakan Army, il cui obbiettivo dichiarato è quello di ristabilire la pace attraverso l’inclusione. Tuttavia, i quotidiani locali continuano a raccontare diversi episodi di violenza compiuti sia dall’AA che dall’ARSA, spesso a danno della minoranza Rohingya.

A fine aprile, il Bangladesh ha tentato il coinvolgimento della Cina per risolvere diplomaticamente la crisi – tra le altre cose, Dhaka teme che il protrarsi del conflitto alimenterà ulteriormente i fenomeni di radicalizzazione che già stanno destabilizzando il Paese.

Il mese scorso il Jamaat-e-Islami, principale partito islamista del Bangladesh, ha avanzato la proposta di creare uno Stato indipendente per i Rohingya nella regione dell’Arakan/Rakhine. L’idea è stata ventilata durante un incontro a porte chiuse con una delegazione del Partito Comunista Cinese, tenutosi in un hotel di Dhaka. Lo sforzo si è rivelato vano: la delegazione cinese non ha commentato la questione, mentre la giunta militare ha espresso un netto rifiuto considerando la proposta una minaccia alla sovranità del Paese. Inoltre, i generali hanno affermato che esiste già un meccanismo di rimpatrio per i profughi “bengalesi” (aggettivo con cui le autorità birmane si riferiscono alla minoranza, trattandoli come stranieri), criticando aspramente il coinvolgimento della Cina nella questione. La mediazione di Pechino è strategica: la Cina è politicamente vicina sia a Naypyidaw che a Dhaka e ha diversi interessi commerciali e infrastrutturali da tutelare nello stato del Rakhine.

Secondo lesperto di conflitti regionali Ashfaque Ronnie, lidea di uno Stato indipendente non risolve la crisi perché non agisce alla radice del problema, cioè la profonda divisione e discriminazione etnica. A suo avviso, una soluzione sostenibile può nascere solo da un processo interno alle comunità locali, seppur con il sostegno di mediatori internazionali. Stando a quanto riportato da The Diplomat, la speranza che la nuova amministrazione si impegni davvero in tal senso è viva solo nelle zone in cui la presenza dei Rohingya è bassa.

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