14/05/2014, 00.00
VIETNAM - CINA
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Roghi e assalti: in Vietnam deriva violenta delle proteste contro l’imperialismo cinese nei mari

di Paul N. Hung

Nel sud del Paese incendiate 15 fabbriche straniere e assaltato un complesso industriale. Almeno 20mila manifestanti hanno preso d’assalto gli stabilimenti, credendoli di proprietà cinese. I cattolici di Hanoi e Ho Chi Minh City, in risposta ai vescovi, organizzano messe e preghiere. Analisti condannano l’atteggiamento di Pechino: nel lungo periodo “pagherà le conseguenze”.

Ho Chi Minh City (AsiaNews) - Nel sud del Vietnam monta l'ira contro la decisione di Pechino di installare una piattaforma per l'esplorazione petrolifera, seguita dall'invio di navi della marina, aerei da caccia ed elicotteri al largo della costa orientale vietnamita per pattugliare la zona. Le proteste per la politica "imperialista" del gigante asiatico nel mar Cinese meridionale - caratterizzate da attacchi contro navi e pescherecci di Vietnam e Filippine - stanno assumendo una deriva violenza, con i manifestanti che hanno incendiato almeno 15 fabbriche straniere e assaltato diverse altre. Una escalation di tensione che è fonte di preoccupazione e ha spinto la comunità cattolica a raccogliere l'appello lanciato dai vescovi, lanciando - assieme a laici e simpatizzanti del Partito comunista vietnamita - messe e preghiere per la pace nella regione Asia-Pacifico. 

I disordini hanno riguardato un parco industriale nel sud per attirare investitori stranieri; si tratta del più grave focolaio di violenza e di disordine pubblico nel Paese comunista, in cui Stato e governo applicano uno stretto controllo sulle manifestazioni di dissenso. Le agitazioni sono iniziate nella tarda serata di ieri in un parco industriale di proprietà di Singapore e in altre fabbriche vicine, situate nella provincia meridionale di Binh Duong, e hanno coinvolto almeno 20mila lavoratori. Altri gruppi minori hanno preso d'assalto stabilimenti di Taiwan o Corea del Sud, pensando che fossero di proprietà cinese. 

Del resto già nei giorni scorsi si erano ripetute proteste di piazza nelle principali città del Paese. Oltre 2mila persone si sono radunate all'esterno dell'ambasciata cinese ad Hanoi, per manifestare conto "l'imperialismo" cinese nei mari. Analoghe manifestazioni si sono tenute l'11 maggio a Ho Chi Minh City, dove più di 3mila cittadini - buddisti, cattolici, protestanti e membri di altre religioni - hanno organizzato proteste davanti al Consolato di Pechino. Si tratta delle più imponenti manifestazioni anti-cinesi in Vietnam e coinvolgono anche personalità vicine al governo. Uno studente di Saigon conferma ad AsiaNews che fra i dimostranti "vi sono anche fazioni pro-governative"; tra questi vi sono giovani "che portano impresse sulle maglie il ritratto di Ho Chi Minh" e che brandiscono stendardi con "la falce e il martello" caratteristiche della simbolica comunista.  

Intanto i cattolici organizzano messe e funzioni di preghiera: il 10 maggio i Redentoristi della parrocchia di Thái Hà hanno celebrato una messa per la pace, alla presenza di un migliaio di persone, compresi membri del partito comunista locale. Il giorno successivo è la volta della parrocchia di Nostra Signora del Mutuo Soccorso a Saigon, dove si è pregato per "la situazione di pericolo in cui versa il Paese". P. Vincent Phạm Trung Thành, superiore provinciale dei Redentoristi in Vietnam, spiega che "noi siamo tanto cattolici, quanto buoni cittadini vietnamiti" e "non possiamo ignorare" i pericoli in cui versa la nazione.

Analisti ed esperti di politica internazionale si schierano a fianco del Vietnam, condannando l'atteggiamento aggressivo di Pechino. Per Gregory Poling, ricercatore dello US Center for Strategic and International Studies (Csis), la Cina "viola sia la Dichiarazione di Condotta delle parti nei mari orientali (Doc) e la Convenzione Onu sui mari (Unclos)". Nel lungo periodo, aggiunge, "pagherà le conseguenze per questo atteggiamento".  

Da tempo Vietnam e Filippine manifestano crescente preoccupazione per "l'imperialismo" di Pechino nei mari meridionale e orientale; il governo cinese rivendica una fetta consistente di oceano, che comprende isole contese - e  la sovranità delle Spratly e delle isole Paracel - da Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia (quasi l'85% dei territori). A sostenere le rivendicazioni dei Paesi del Sud-est asiatico vi sono anche gli Stati Uniti, che a più riprese hanno giudicato "illegale" e "irrazionale" la cosiddetta "lingua di bue", usata da Pechino per marcare il territorio. L'egemonia riveste un carattere strategico per il commercio e lo sfruttamento di petrolio e gas naturale nel fondo marino, in un'area di elevato interesse per il passaggio dei due terzi dei commerci marittimi mondiali.

 

 

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