14/06/2007, 00.00
IRAQ
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Sacerdote caldeo: ecco le necessità urgenti dei cristiani in Iraq

di Bashar M. Warda, CSsR*
Violenze, persecuzione e l’esodo forzato impongono a tutte le Chiese in Iraq di strutturare una nuova attività pastorale che affronti esigenze e problemi dall’assistenza spirituale, agli aiuti ai più poveri, alla lotta alla corruzione. La necessità di una linea comune di tutti i leader cristiani nei confronti dello Stato, delle forze internazionali e del terrorismo.

Ankawa (AsiaNews) – Le violenze crescenti, il clima di persecuzione in cui vive tutto l’Iraq, ma in particolare i cristiani e l’esodo forzato di migliaia di famiglie hanno seriamente compromesso l’attività pastorale della Chiesa che in molte zone è praticamente ridotta a zero: parrocchie costrette alla chiusura, sacerdoti rapiti o mandati all’estero per l’alta insicurezza. Alla luce di questo p. Bashar Warda, redentorista, neo-rettore del Seminario maggiore caldeo St. Peter, traccia le linee di impegno dei cristiani in Iraq  e i suggerimenti alla comunità internazionale. 

Come riuscire a trovar un modo per uscire dalla crisi che ci attanaglia come iracheni in generale e come cristiani in particolare? Finora, a riguardo, le parti interessate non hanno formulato una visione comune, in grado di offrire la possibilità di una vita dignitosa per il cittadino iracheno. Dal momento che in una simile situazione si guarda alla Chiesa come una voce di giustizia, siamo frustrati dal constatare che ognuno cerca di ottenere, per sé o il proprio gruppo, più privilegi economici, politici, sociali possibili, senza pensare seriamente che la salvezza e la dignità dell’altro è una delle responsabilità che siamo chiamati ad adempiere. Attendiamo con ansia che la Chiesa assuma una missione, una visione e un ruolo definito nel riparare quello che hanno fatto politici, approfittatori, e nuovi venuti, portando alla luce tutte le pratiche che violano la dignità e la libertà dell’individuo iracheno. La Chiesa porterà così un messaggio di solidarietà e sarà il mezzo per aprire le porte della giustizia sociale per tutti, nel quadro di un sistema politico che creda nella cittadinanza e nell’uguaglianza.

Vi è quindi possibilità di tracciare le caratteristiche di una visione pastorale per la Chiesa in Iraq? Mi piacerebbe elencare alcuni suggerimenti che potrebbero costituire una solida base per lo sviluppo di una pastorale che risponda alle esigenze di un ampio settore della comunità cristiana:

- I capi delle chiese hanno l’opportunità di assumere una posizione unanime rispetto ai rapporti tra di loro, con lo Stato iracheno, con le forze straniere e con i cosiddetti insorti, rapporti basati sulla fedeltà al nostro Iraq. Lo Stato ha l’obbligo di rispondere a questo impegno verso tutti i suoi cittadini, tenendo a mente che i cristiani sono gli abitanti originari dell’Iraq. Vi è un oggettivo fallimento del governo nel mantenere le buone promesse fatte agli iracheni su legge, sicurezza e servizi pubblici.

 - Come prova della preoccupazione dei cristiani iracheni  per la sicurezza e l’integrità del loro Paese, i leader delle Chiese devono richiedere che si stabilisca un programma di lavoro per le forze del contingente internazionale in Iraq, si definisca la loro missione e venga accelerato il processo di riabilitazione e addestramento delle forze irachene per mantenere la sicurezza e difendere i confini internazionali, come è compito di ogni Stato sovrano.

- I leader delle chiese devono sforzarsi di contrastare la corruzione amministrativa e finanziaria che danneggia il benessere degli iracheni. La corruzione oggi è un terrorismo distruttivo: come le operazioni militari uccidono molti, così la corruzione sta distruggendo il futuro della popolazione. E qui entra in gioco la Chiesa, che deve alzare la sua voce per arginare e mettere fine a tale pratica.

- Se qualcuno tenta di negare l’esistenza di vittime delle violenze politiche e settarie, il compito della Chiesa è parlare a sostegno delle famiglie di queste vittime. Attraverso i suoi comitati e consigli, la Chiesa potrebbe difendere le persone i cui diritti, libertà e la cui vita sono oggetto di minacce, violazione e soprusi, chiedendo al governo di compilare liste delle vittime e di offrire loro aiuto. Questo è un segno della cura amorevole che la Chiesa offre a coloro ai quali è negata una vita dignitosa a causa di una futile ed ingiustificata lotta settaria e politica.

- Bisogna studiare in che modo la Chiesa possa utilizzare la maggiore sicurezza di cui godono alcune città e villaggi per sviluppare i suoi programmi pastorali, che hanno caratteristiche anche spirituali, sociali e culturali. L’attività pastorale della Chiesa oggi non è più limitata solo alla pratica dell’Eucaristia, ma piuttosto deve offrire guida e sostegno. Soprattutto bisogna migliorare l’impegno nel campo educativo.

- Con l’esodo quotidiano di migliaia di cristiani dalle nostre città e villaggi, oggi migliaia di famiglie rappresentano una nuova sfida pastorale da affrontare. Gli abitanti delle zone più colpite si trovano davanti a diversi problemi come la disoccupazione, l’assenza di servizi pubblici, l’alto costo della vita, un’economa distrutta, un’attività pastorale ridotta. Per queste ed altre questioni la Chiesa non ha nessun alcun comitato che se ne occupi.

- La Chiesa ha buone relazioni sia dentro che fuori l’Iraq che potrebbe usare al fine di migliorare la terribile situazione in alcune zone per quanto riguarda l’istruzione, la sanità ed i servizi pubblici. Ci sono molte persone qualificate che potrebbero essere impiegate all’interno di comitati per la ricostruzione e lo sviluppo supervisionati in modo trasparente da figure esperte nel settore economico e amministrativo.

- Stabilire un fondo di aiuti d’emergenza per le famiglie povere a Baghdad, Mosul e Basra sotto la supervisione di un comitato eletto che comprenda i capi delle Chiese e che operi secondo procedure coordinate e trasparenti al fine di vivere il Vangelo della solidarietà con i più bisognosi.

* p. Bashar Warda, redentorista, è il neo rettore del Seminario maggiore caldeo St. Peter, di recente trasferito da Baghdad ad Ankawa (Kurdistan) per motivi di sicurezza.

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