24/07/2025, 12.48
THAILANDIA-CAMBOGIA
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Scontri e raid aerei tra Bangkok e Phnom Penh: 12 thailandesi morti

di Steve Suwannarat

La Cambogia ha accusato la Thailandia di aver aperto il fuoco per prima. Silenzio di Phnom Penh su possibili vittime. La disputa territoriale coinvolge ancora una volta le aree contese intorno ai templi di Ta Muen Thom e Preah Vihear, che da fine maggio hanno riacceso le tensioni tra i due Paesi del sud-est asiatico, alle prese anche con le rispettive questioni interne. La Cina si è offerta come mediatrice. 

Bangkok/Phnom Penh (AsiaNews) - Torna a infiammarsi la disputa territoriale tra Thailandia e Cambogia, scoppiata il 28 maggio con la morte di due militari cambogiani nell’area del tempio di Ta Muen Thom, lungo il confine orientale thailandese nella provincia di Surin. Questa mattina, attorno alle 8, l’esercito thailandese ha segnalato l’ingresso sul proprio territorio di un contingente cambogiano, preceduto dal sorvolo di un drone e seguito dall’impiego di artiglieria pesante proveniente da alcuni villaggi vicino alla frontiera. Si tratta di una zona in cui la linea di confine è ancora oggetto di trattative e riconoscimento bilaterale.

Secondo Bangkok, l’esercito cambogiano avrebbe aperto il fuoco contro una base delle forze armate thailandesi e contro le rovine del tempio di Ta Muen Thom, lanciando razzi anche su una caserma e su aree residenziali, provocando diversi feriti. Fonti thailandesi riportano inoltre che l'artiglieria cambogiana avrebbe colpito anche un ospedale nella provincia di Surin, il Phanom Dong Rak Hospital. In risposta, i caccia F-16 thailandesi hanno colpito due postazioni militari cambogiane.

Nel corso della giornata, il bilancio delle vittime thailandesi è aumentato. Il ministero della Sanità di Bangkok ha confermato la morte di almeno 12 persone, tra cui un bambino e altri minori, mentre da Phnom Penh non sono ancora stati comunicati dati ufficiali sulle perdite, le autorità cambogiane accusano la Thailandia di aver sparato per prima, provocando la reazione armata.

In un messaggio pubblicato su Facebook, il primo ministro cambogiano Hun Manet ha dichiarato che le forze armate thailandesi hanno attaccato postazioni cambogiane nei pressi dei templi di Preah Vihear e Ta Krabei, aree contese da tempo e già in passato teatro di scontri per il loro valore storico e religioso.

Il governo thailandese ha ordinato l’evacuazione delle zone colpite e ha invitato i propri cittadini presenti in Cambogia a rientrare immediatamente. In un clima diplomatico sempre più teso, Bangkok ha espulso i diplomatici cambogiani e richiamato i propri dalla capitale Phnom Penh, dopo l’esplosione di una mina che mercoledì ha ferito cinque soldati thailandesi. Secondo le autorità thai, la mina sarebbe stata piazzata di recente.

Di fronte all’escalation, il governo di Bangkok ha espresso la volontà di cercare una soluzione diplomatica per ridurre la tensione, chiedendo nel contempo all’ONU il rispetto della Convenzione per la messa al bando delle mine antiuomo. Tuttavia, Phnom Penh ha interpretato questa iniziativa come una provocazione, soprattutto dopo che la proposta cambogiana di coinvolgere la Corte di giustizia internazionale per dirimere la disputa era stata respinta dalla Thailandia.

Il conflitto apre ora a vari scenari. Il governo cambogiano ha già annunciato che a partire dal prossimo anno introdurrà la leva obbligatoria, mentre a Bangkok si discute la possibilità di rivedere il piano di riduzione delle forze armate già concordato con i vertici militari.

L’escalation avviene, però, in un momento di incertezza politica interna per entrambi i Paesi: in Thailandia, le tensioni coincidono con l’apertura di un’inchiesta che ha portato alla sospensione della prima ministra Paetongtarn Shinawatra dopo la diffusione di un audio in cui la premier si lamentava del proprio esercito con l’ex premier cambogiano Hun Sen, mentre in Cambogia alcuni esperti indicano il crescente nazionalismo promosso da Hun Manet come fattore che sta alimentando la retorica del conflitto. 

La situazione sta suscitando forte preoccupazione in tutta la regione. La Cina, da tempo alleata di entrambi i Paesi, ha lanciato un appello alla fine delle ostilità e si è offerta come possibile mediatrice.

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