16/11/2003, 00.00
Georgia
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Scosse di terremoto sul Caucaso

di Vladimir Rozanskji.
Per comprendere meglio la situazione della Georgia e i suoi problemi, abbiamo domandato un contributo ad un esperto del settore.

La regione caucasica, cerniera meridionale tra l'Europa e l'Asia, è una terra ad alto rischio di scosse telluriche. La fragile conformazione geologica ha lasciato tracce profonde anche nella struttura antropologica dei suoi abitanti, suddivisi in una incredibile frammentazione di razze e clan eternamente in lotta tra loro, divisi da una babele di lingue, religioni, tradizioni culturali che si intersecano e si combinano di continuo. L'effetto è assai simile a quello di altre terre di frontiere e mescolanze sovrapposte, come i Balcani o il Medio Oriente; ma con un pizzico di sorpresa e creatività in più. Il Caucaso è una terra molto più isolata dell'Africa centrale, meno conosciuta dell'Indocina, per dire di altre zone del mondo a perenne rischio di guerra civile. La complessità delle catene montuose e degli sbocchi sui mari più interni del mondo - il Mar Nero e il Mar Caspio - la concentrazione di più di cento piccole etnie strette tra alcuni dei grandi giganti della storia (russi, turchi, persiani), tutto concorre a fare del Caucaso una realtà sconosciuta, pericolosa e affascinante. Nessuno riesce a produrre uno studio minimamente ordinato sui rapporti interni tra armeni e azeri, kabardini e balkari, calmucchi e ossetini, georgiani e abkhazi. Con notevoli difficoltà le cronache mondiali cercano di seguire l'evolversi della crisi cecena - in realtà una delle tante - ma solo perché essa comunica scosse al gigante russo.

Della Georgia si parla più che altro per la buona audience che all'estero riscuote il suo vecchio leader, la "volpe" Shevardnadze di gorbacioviana memoria. Ma quasi a nessuno importa questo paese di antica storia e nobili tradizioni, uno dei più importanti dell'intera area tellurica.

Shevardnadze e l'opposizione

Pare proprio che stavolta la vecchia volpe sia destinata a finire in pellicceria. Allo scoccare del settantacinquesimo anno di età, si pretende a tutti i costi che vada in pensione, nonostante abbia ancora davanti un anno e mezzo di mandato presidenziale che, del resto, dura da oltre 10 anni.

Shevardnadze è accusato dall'opposizione di aver truccato le elezioni parlamentari in un modo così sfacciato da suscitare moti di piazza in una popolazione abituata a inganni e brogli fin dai tempi dell'impero romano, di cui era estrema provincia orientale. In questi giorni le opposizioni hanno sostenuto sit-in e sfilate davanti al palazzo presidenziale per obbligare Shevardnadze a incontrarle. Quando il presidente ha deciso di incontrarle, le opposizioni hanno evitato accuratamente di presentarsi al colloquio.

Quasi tutti gli analisti locali, sono assai sorpresi dalla relativa mitezza delle manifestazioni di questi giorni. Secondo le previsioni avrebbero dovuto sfociare in un bagno di sangue e produrre una rivoluzione dagli effetti dirompenti. In realtà, i ventimila scesi in piazza sono troppo pochi, e poco agguerriti, per ottenere veramente qualche risultato; i carri armati si sono fatti vedere, ma solo per attestarsi dietro la curva, da dove i militari controllano la situazione facendo capolino tra una partita a carte e una bevuta. Gli stessi leader dell'opposizione si comportano in modo contraddittorio e poco incisivo: il più radicale, il capo nazionalista Mikhail Saakashvili, si fa vedere sempre di meno nei comizi e sembra assai indeciso sul da farsi; la sua maggiore sostenitrice, la più moderata signora Ninò Burzhanadze, prima ha sostenuto la vittoria delle opposizioni, ora si limita ad affermare l'inattendibilità dei dati elettorali. Il secondo classificato alle elezioni, il rappresentante dell'etnia adjara Aslan Abashidze, si è messo addirittura a lavorare per il presidente, andando a fare da mediatore per lui con i russi. C'è chi dice che alla fine Shevarnadze si dimetterà davvero, ma con un accordo sottobanco con gli oppositori, che gli concederà così di ripresentarsi fra due anni alle elezioni presidenziali. Misteri caucasici, in cui si intrecciano le passioni politiche agli equilibri clanici: Saakashvili rappresenta le etnie "nobili" delle montagne, quelle dai nomi in "shvili" come Stalin (Josif Dzhugashvili) o in "ia" come il dittatore post-sovietico Zviad Gamsakhurdia, il poeta nazionalista che morì misteriosamente nei torbidi dei primi '90 (per molti è addirittura ancora vivo), diventando la leggenda delle destre georgiane, i cosiddetti "zviadisti" oggi guidati da Saakashvili. Il mediatore Abashidze, esponente di una etnia minore e più pacifica, affianca il monarca dei georgiani di pianura, capo dei georgiani in "dze", il presidente Shevardnadze.

Chiesa e cultura

Ogni georgiano sogna di essere sepolto un giorno nel mausoleo degli uomini illustri che sovrasta la piana di Tbilisi, accanto a grandi musicisti, pittori e letterati, oltre che agli eroi dell'epopea nazionale. È  difficile infatti trovare una città altrettanto ricca di artisti e di movimenti intellettuali come Tblisi. Anche nel periodo sovietico essa era una delle capitali più poliedriche, cosmopolite ed eleganti. La via Rustaveli, dove oggi campeggiano i dimostranti, potrebbe competere con le prospettive alberate di grandi città europee del sud non meno orgogliose e cariche di storia, come Marsiglia o Palermo. Le chiese georgiane, in pietra grezza delle montagne del Caucaso, punteggiano il panorama con la loro austera e sconvolgente bellezza, a testimonianza di una tradizione cristiana assai più antica dell'ortodossia russa confinante. La Georgia assunse il cristianesimo come religione di stato ai tempi di Costantino, prima ancora della fondazione stessa della capitale imperiale a Bisanzio, poco dopo i "cugini" armeni a cui assomigliano tantissimo, ma con i quali non vogliono avere nulla in comune. I gerarchi della Chiesa georgiana sono imprevedibili almeno quanto i loro fedeli laici: nel 1999, su pressione dello stesso Shevardnadze,  hanno addirittura ricevuto il papa di Roma. Quest'anno si sono presi lo sfizio di far annullare il concordato con la Chiesa Cattolica a un giorno dalla firma. Il rappresentante della Santa Sede è stato costretto a riprendere l'aereo e tornare in Vaticano con un pugno di mosche. La figuraccia è assai peggiore di tutti battibecchi fra Roma e il Patriarcato di Mosca. Per fortuna l'onta e la risonanza sono mitigate dalla marginalità della Georgia sulla scena mondiale.

La contraddittorietà della posizione della Chiesa è evidente anche in questi giorni: sebbene molti oppositori criticano il presidente sfoderando i simboli religiosi, il Patriarca di Tbilisi, Ilja II, dichiarato la sua disponibilità a fare da paciere e mediatore tra i vari gruppi in conflitto.

In politica estera, la Georgia esprime normalmente almeno due-tre posizioni in assoluta contrapposizione tra di loro: mantiene un perfetto aplomb filo-occidentale (Shevardnadze è sempre rimasto un'icona del gorbaciovismo di prima maniera, tanto caro ad americani e europei), cercando allo stesso tempo un accordo con i russi: senza di loro la Georgia non avrebbe neanche quel poco di energia elettrica che serve a illuminare e riscaldare i palazzi del centro di Tbilisi. Questo permette solo a pochi di avere acqua calda corrente; tutti gli altri fanno la doccia con i secchi, a giorni alterni]. Il legame con Mosca va poi a braccetto con l'avallo alla presenza di pattuglie di terroristi di Al-Qaeda sulle inaccessibili montagne georgiane, dove in effetti non ci sono neanche le strade. Per questo è assai arduo prevedere il quadro che potrà delinearsi dopo i moti di questi giorni. É probabile che il Mausoleo degli Eroi sulla collina di Tblisi veda l'arrivo di nuove tombe, o che una cerimonia riconcili tutti.

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