Singapore, elezioni parlamentari: al voto fra paura e voglia di cambiamento
I cittadini alle urne per il rinnovo dell’Assemblea mono-camerale. L’elettorato si presenta diviso e potrebbe decretare la fine dell’egemonia del Partito di azione popolare. Timori di instabilità che rischiano di colpire anche l’economia, in una fase di trattative con gli Stati Uniti sui dazi. Il nodo irrisolto dell’immigrazione e una popolazione in rapido invecchiamento.
Singapore (AsiaNews) - Tutto è pronto per la tornata elettorale di domani che a Singapore dovrà portare alla nascita del Parlamento rinnovato dopo una campagna elettorale intensa, ma corretta, che ha evidenziato un elettorato chiaramente diviso più che sulle proposte dei partiti o su linee ideologiche, dalle possibilità e timori di cambiamento. Come confermato dagli ultimi comizi consentiti, nella serata di ieri, di cinque dei dieci partiti dell’opposizione e di uno di candidati indipendenti, la voglia di cambiamento dopo il controllo ininterrotto sulla vita del Paese dalla sua nascita come Repubblica di Singapore nel 1965 da parte del Partito di azione popolare (People’s Action Party), è affiancata da non pochi timori.
Anzitutto quelli sollevati dal partito di governo di vedere incrinata la stabilità e quindi i potenziali economici e la convivenza sempre promossi anche a costo di pieni diritti e libertà personali. Un segnale chiaro, quello lanciato dal 52enne premier Lawrence Wong (il quarto nella storia della piccola Repubblica, a segnalare la persistenza al potere non solo del Pap di cui è presidente ma anche di personalità decise) con la sottolineatura che se il vice-premier Gan Kim Yong non dovesse essere rieletto nel suo collegio elettorale, potrebbe costare caro a Singapore dato il suo incarico di guida della task force incaricata di gestire la situazione creata dall’imposizione di nuovi dazi da parte dell’amministrazione statunitense.
In sé una valutazione contestata dalle opposizioni. Il Partito dei lavoratori (Workers’ Party), il Partito progressista di Singapore (Progress Singapore Party) e il Partito democratico di Singapore (Singapore Democratic Party) hanno negato validità ai timori di Wong. Essi segnalano anzitutto la necessità di un gioco democratico necessario per individuare e risolvere questioni focali per la città-Stato di soli 735,7 km2 e sei milioni di abitanti, un crogiolo di fedi e di etnie che hanno nel tempo cooperato per garantire pace e sociale. Una realtà che vede crescere anche minacce alla stabilità, a partire dal rapporto con l’immigrazione e le sfide globali che non possono lasciare indifferente una economia fondata sull’esportazione di prodotti ad alto valore aggiunto e che è finora riuscita a mantenersi equidistante nelle tensioni crescenti nella regione garantendo così ai cittadini e residenti uno dei più alti redditi pro-capite al mondo.
La constatazione delle opposizioni che “comunque il partito-guida vincerà facilmente 65 seggi o più sui 97 complessivi” del Parlamento mono-camerale è stata accompagnata dall’esortazione a garantire una democrazia viva con un attento controllo sulle attività di governo. A ciò si aggiunge anche l’accusa ai candidati del Pap di avere tralasciato di chiarire le loro posizioni su questioni di interesse nazionale come la gestione ritenuta inadeguata dell’edilizia pubblica (fondamentale nel contesto locale, dove le richieste di spazi abitativi superano l’offerta) e l’aumento dell’imposta sui beni e servizi (Goods and Services Tax) a fronte di quella che hanno definito “tempesta inflativa globale”.
Questioni che il Pap ha contestato, confermando all’elettorato il sostegno alla disoccupazione, il supporto a chi si trovasse in difficoltà nel sostenere i costi dell’abitazione, l’incremento dei posti-letto negli ospedali. Soluzioni ponte pensate anche per affrontare un rapido invecchiamento della popolazione, che prevedono pure la costruzione di 50mila nuove abitazioni nel prossimo triennio.