05/08/2014, 00.00
IRAQ

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Sinjar, le milizie dello Stato islamico massacrano gli Yazidi e impongono la tassa ai cristiani

di Joseph Mahmoud

Decine di famiglie cristiane fuggite dalla cittadina a nord di Mosul, conquistata nel fine settimana dall’Isis. Almeno 70 i membri della minoranza musulmana uccisi nell’assalto; i cristiani rimasti costretti a pagare 80 dollari, rimossa la croce dalla chiesa. Gli islamisti bombardano il villaggio di Telkef, uccidendo un giovane cristiano. Leader curdo ordina la contro-offensiva, Baghdad offre in aiuto l’aviazione.

Baghdad (AsiaNews) - Decine di famiglie cristiane sono fuggite dalla città di Sinjar, conquistata nei giorni scorsi dalle milizie dello Stato Islamico (ex Isis, Stato islamico dell'Iraq e del Levante); testimoni locali riferiscono che la situazione è drammatica, le persone hanno trovato riparo in una zona montagnosa, ma "sono senzatetto, piangono e chiedono aiuto" a gran voce. Intanto continua l'offensiva degli islamisti nella parte settentrionale dell'Iraq, con il bombardamento avvenuto nella serata di ieri del villaggio di Telkef, circa 20 km a nord di Mosul. Durante l'attacco è morto anche un cristiano di nome Lujaim Hikmat Franci, impiegato come guardia della chiesa, colpito mentre cercava di mettersi al riparo assieme ad altri giovani e al sacerdote. 

In queste ore i vertici dell'Isis hanno annunciato una guerra di vasta scala che, oltre alla Siria e all'Iraq, arriverà anche in Libano. Fonti interne parlano di attentatori suicidi pronti a farsi esplodere in diverse aree del Paese dei cedri, finora risparmiato dalle violenze islamiste. Beirut, inoltre, è patria del movimento sciita Hezbollah, il più importante nemico dei combattenti sunniti in Siria. 

Intanto il leader curdo Massoud Barzani ha ordinato alle forze Peshmerga di infliggere "un colpo mortale" alle milizie Isis, che hanno conquistato vaste zone del Paese. Il presidente del Governo regionale curdo (Krg) conferma l'offensiva dei paramilitari, chiamati a combattere "contro i nemici del popolo curdo". Al contempo, il premier irakeno Nouri al Maliki ha ordinato all'aviazione irakena di fornire sostegno all'esercito curdo, impegnato nell'offensiva per la riconquista di due importanti città e di altrettanti impianti petroliferi.

In particolare, da Sinjar (126 km a nord-ovest di Mosul) giungono notizie drammatiche di uccisioni e popolazione in fuga; la città è abitata in maggioranza da Yazidi, musulmani, e da una minoranza cristiana formata da siri-ortodossi, cattolici e armeni. Nell'aera operava un solo sacerdote, siro-ortodosso, al servizio di tutta la comunità cristiana. Secondo fonti locali, nell'attacco del 3 agosto scorso le milizie Isis hanno massacrato almeno 70 Yazidi e sequestrato alcune donne; alcuni testimoni riferiscono che i corpi delle vittime sono abbandonati per strada e "nessuno osa toccarli". 

La maggior parte della popolazione, fra cui i cristiani, è fuggita in montagna o ha cercato rifugio nei vicini villaggi cristiani di Dayraboun e Vichabour. Gli islamisti hanno inoltre imposto ai cristiani rimasti - quei pochi che hanno voluto restare, per salvare le proprie case - la jiza, la tassa per gli "infedeli", che ammonta a circa 80 dollari a persona. Fonti cattoliche locali riferiscono infine che i miliziani sunniti hanno rimosso la croce dalla chiesa della città, hanno fatto irruzione all'interno dell'edificio bruciando libri e registri parrocchiali; ora il luogo di culto è stato trasformato in un ufficio. 

Nel fine settimana le milizie dello Stato Islamico hanno preso possesso in poche ore di Zummar, Sinjar e Wana, situate nella provincia di Ninive, una quarantina di chilometri a nord di Mosul. Seconda città per importanza del Iraq, è stato proprio Mosul la prima a cadere nelle mani dell'esercito islamico, che vi ha fondato un Califfato dove vige una rigida sharia, costringendo alla fuga 500mila fra cristiani e musulmani. Stime Onu riferiscono che luglio è stato un mese tragico per l'Iraq, in particolare per i civili: in atti di terrorismo e violenza sono morte 1.737 persone, mentre altre 1.978 sono rimaste ferite, mentre il governo centrale - lacerato da faide interne che non hanno finora determinato la destituzione del contestato premier Nouri al Maliki - appare incapace di fronteggiare la minaccia. 

 

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