04/05/2023, 12.39
IRAQ - ISRAELE
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Studiosi israeliani usano l’intelligenza artificiale per tradurre l’accadico

Esperti della Tel Aviv University, in collaborazione con l’Ariel University, hanno realizzato un programma per decifrare una lingua antica di difficile interpretazione. Una traduzione “automatica” e accurata dai caratteri cuneiformi all’inglese. Esempio di collaborazione fra uomo e macchina, in un settore in cui mancano esperti. Ad oggi centinaia di migliaia di tavole ancora da decifrare. 

Tel Aviv (AsiaNews) - Sfruttare le potenzialità dell’intelligenza artificiale (AI) per decrittare una lingua che affonda le radici nel passato e che spesso risulta di difficile interpretazione, agevolando il compito di storici, linguisti e traduttori. Lo ha fatto un gruppo di ricercatori israeliani della Tel Aviv University (Tau) in collaborazione con l’Ariel University, sviluppando un modello che permette la “traduzione automatica” di testi in lingua accadica, in caratteri cuneiformi, nel più comune e comprensibile inglese moderno.

Gli esperti di assiriologia, specializzati nello studio archeologico, storico, culturale e linguistico dell’antica Mesopotamia, hanno trascorso anni cercando di interpretare i testi in cuneiforme, una delle più antiche forme di scrittura conosciute. Il richiamo alla “forma di cuneo” ricorda l’uso che veniva fatto in passato, quando i segni venivano impressi su una tavoletta di argilla. 

Parlata nell’antica Mesopotamia (in corrispondenza dell’attuale Iraq), quella accadica era una lingua semitica orientale utilizzata in particolare dagli assiri e dai babilonesi. Si tratta del più antico idioma semitico mai attestato, basato su un sistema di scrittura sfruttato per primo dai sumeri. La lingua deriverebbe il proprio nome dalla città di Akkad, opera di re Sargon che ne è stato fondatore e capostipite dell’impero, il maggior centro abitato dell’epoca anche se ad oggi non se ne hanno tracce certe.

Nei decenni gli archeologi hanno rinvenuto centinaia di migliaia di tavolette di argilla scritte in cuneiforme e risalenti fino al 3.400 a.C., un numero di gran lunga maggiore rispetto agli studiosi in grado di comprenderle e tradurle, in numero assai limitato. Shai Gordin dell’Ariel University, Jonathan Berant e Omer Levy della Tau, insieme ad altri colleghi hanno da poco condiviso i frutti dei loro studi sulla rivista specializzata Pnas in un articolo intitolato “Tradurre dall’accadico all’inglese, mediante traduzione automatica neuronale”. 

Durante la fase di studio e progettazione, il gruppo di lavoro ha sviluppato due versioni del modello una della delle quali traduceva l’accadico da rappresentazioni di segni cuneiformi nell’alfabeto latino e l’altro da rappresentazioni unicode dei segni cuneiformi. La prima, legata alla traslitterazione latina, è quella che ha dato nel tempo i risultati migliori totalizzando un punteggio di 37,47 nel Best Bilingual Evaluation Understudy 4 (Bleu4), parametro usato per valutare la corrispondenza fra traduzione umana e artificiale di uno stesso testo. Il programma, spiegano in una nota, si è mostrato particolarmente efficace allorché si è trattato di tradurre brevi frasi al di sotto dei 120 caratteri, superando i quali emergevano “allucinazioni” (testo corretto sul piano sintattico, ma non accurato). 

Il programma potrebbe rivelarsi particolarmente utile in una fase primaria di traduzione, nel novero di una “collaborazione fra uomo e macchina” per lasciare poi spazio all’intervento umano per affinare il testo tradotto nella versione finale. Vi sono centinaia di migliaia di manoscritti cuneiformi riguardanti la vita politica, sociale, economica e scientifica dell’antica Mesopotamia. “E la maggioranza di questi testi .- spiegano gli studiosi al Jerusalem Post - restano inaccessibili per il numero limitato di esperti in grado di comprenderli”.

Quello della traduzione è un “processo complesso” perché richiede non solo la presenza di “conoscitori di due lingue diverse”, ma che siano anche capaci di capire “differenti ambiti culturali”. In quest’ottica, proseguono, “gli strumenti digitali possono aiutare” grazie a elementi quali “il riconoscimento ottico dei caratteri (Ocr) e la traduzione automatica”. Le lingue antiche, conclude la nota, pongono questioni di complessità ancora maggiori perché “la loro lettura e comprensione richiede conoscenze di una comunità linguistica morta da tempo” e gli stessi testi “possono essere molto frammentari”.

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