Sulle orme di Gesù, accanto a tutti per un Asia migliore
A Penang il confronto tra 800 delegati dalle Chiese di tutto il continente riuniti per il "pellegrinaggio della speranza" nell'anno del Giubileo. Il card. Tagle: come i Magi rifiutiamo la disperazione degli Erode di oggi. L'arcivescovo di Kuchin Simon Poh: "Siamo minoranza. Ma anche a noi il Signore chiede di non chiuderci nelle nostre chiese e uscire per servire i fratelli".
Penang (AsiaNews) – “Se Gesù tornasse oggi in Asia lo troveremmo ad aspettare un treno affollato di Mumbai o nel traffico di Manila, tra migranti e giovani che scrollano il cellulare. Ci direbbe: ‘Mi ricordo di questo posto, sono nato qui’. Ma non ci troverebbe oggi troppo occupati, divisi, impauriti?”. È il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, a suggerire l’immagine agli oltre 800 delegati da tutto il continente riuniti da ieri a Penang in Malaysia per il Grande pellegrinaggio della speranza, il secondo Convegno missionario asiatico promosso fino a domenica 30 novembre dalla Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia insieme all’arcidiocesi locale.
Agli 80 tavoli attorno ai quali vescovi, sacerdoti, religiose e un gran numero di laici provenienti da più di 30 Paesi sono riuniti, ci si scambiano esperienze su quanto questa presenza - al di là dei numeri grandi o piccoli delle proprie comunità - sia viva in ogni angolo del continente. E ci si confronta sulla strada che a partire dalla prospettiva dei Magi, ieri pomeriggio, il card. Luis Antonio Tagle, pro-prefetto del dicastero per l’Evangelizzazione, ha suggerito nella relazione introduttiva, riprendendo l’icona evangelica già scelta dalle Conferenze episcopali dell’Asia a Bangkok nel 2022, durante l’Assemblea che ricordava i cinquant’anni dall’istituzione della Fabc.
I Magi, che giunsero a Betlemme dall’Oriente e fecero ritorno ai loro Paesi “per un’altra strada”. Un pellegrinaggio il loro - ha spiegato il card. Tagle – che si capisce fino in fondo solo se lo si guarda in parallelo con la strada di Erode. È il cammino di chi viene da un contesto giudicato pagano, illuminato da una profezia sulla carta limitata, ma che sa trovare nella stella una visione, una meta verso cui camminare. Al contrario di un re circondato da esperti sulla Bibbia, che guardando solo a se stessi sono diventati ciechi rispetto ai segni e sordi alla Scrittura. “È il pellegrinaggio della speranza, contro la disperazione di chi pensa solo a mantenere il potere e per questo arriva a uccidere persino i bambini”, ha commentato il cardinale filippino, parlando di ferite di ieri che incrociano drammaticamente anche quelle del mondo di oggi.
“Ma è stato Gesù a indicare ai Magi un’altra strada - ha sottolineato Tagle -. È lui ad aver scelto una via diversa da quella di Erode e dei re di questo mondo. Il Figlio di Dio, ha svuotato sé stesso per abbracciare la libertà umana. È stato un maestro che non aveva dove posare il capo. Ha scelto discepoli che non sarebbero stati accettati da nessun rabbi nella sua scuola. Ha insegnato la verità, ma è stato oggetto di menzogne e di false testimonianze. È stato intronizzato su una croce, accusato di essere un impostore. E continua a vivere negli affamati, negli assetati, nei senzatetto, nei prigionieri, negli stranieri. Gesù percorre una via diversa, ma Egli è la via, la verità e la vita”.
Come percorrere allora in Asia oggi, questa via? È il tema su cui le Chiese presenti a Penang si stanno confrontando, con uno sguardo molto realista sulla propria condizione ma anche sul continente in cui vivono oggi tre abitanti su cinque del mondo. “L’Asia non è rimasta un museo: è un luogo di creatività e di duro lavoro - ha sintetizzato ieri l’arcivescovo indiano di Miao, mons. George Palliparampil, presidente della Commissione per l’evangelizzazione della Fabc -. L’Asia è un importante polo globale per l’industria e il commercio. Ma presenta anche le sue criticità: il degrado ambientale, lo sfruttamento del lavoro, i rischi geopolitici, le disparità economiche. Comprende alcuni dei Paesi più ricchi e più poveri del mondo”.
Ecco allora questo momento giubilare a Penang - ha aggiunto mons. Palliparampil – in cui le Chiese vogliono “ringraziare Dio manifestando amore e apprezzamento per la nostra fede e per le nostre culture. Ma al tempo stesso ci impegniamo ad accogliere la chiamata del Signore a rendere il mondo un posto migliore. Intendiamo creare un ordine sociale in cui ciascuno abbia un posto, in cui le persone facciano affari con integrità, coltivino la terra per nutrire sé stesse e il mondo, offrano cure mediche per guarire e non solo per profitto. Rispetteremo ogni religione e celebreremo ogni festa, non ci abbandoneremo a nessun senso di superiorità sugli altri, ma coltiveremo un autentico spirito di solidarietà e uguaglianza”.
Significativamente ieri alla sessione di apertura del Congresso era presente anche il ministro dell’Unità nazionale del governo federale della Malaysia, Aaron Argo Dagan, che ha rivendicato il volto plurale di questo Paese che nei suoi 35 milioni di abitanti contra oltre 200 sotto-gruppi etnici e la presenza di musulmani, cristiani, buddhisti, indù, sikh e persone di altre religioni che vivono insieme rispettandosi. “Questa diversità - ha detto - non è semplicemente una caratteristica della nostra nazione. È la sua forza, la fonte di resilienza e creatività”.
Questo essere minoranza - il 3% guardando al continente nel suo complesso - non è un limite ma una vocazione. Se nel 2006 l’idea guida del primo Congresso missionario asiatico tentutosi a Chang Mai in Thailandia era stato “raccontare la storia di Gesù ai popoli dell’Asia” oggi il passo avanti che viene chiesto è anche “sognare e indicare” a tutti quella strada che il Vangelo offre. In una prospettiva in cui le “altre religioni” sono diventati “i nostri fratelli di altre confessioni religiose”. Lo ha sottolineato anche l’arcivescovo Simon Poh, arcivescovo di Kuming e presidente della Conferenza episcopale della Malaysia, Singapore e Brunei nel suo intervento su come camminare insieme come popoli dell’Asia. “Sappiamo che nel continente ci sono situazioni in cui la Chiesa si trova ad affrontare discriminazioni e persecuzioni - ha detto -. Siamo minoranza e ci riconosciamo come tali. Ma siamo comunque battezzati e inviati a tutti. Il Signore ci chiede di uscire dalle nostre chiese per andare nelle strade. Lasciare le nostre comfort zone per le periferie. Servendo là il Signore nei nostri fratelli”.



