12/01/2010, 00.00
LIBANO
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Timori e speranze dei cristiani nell’anno del Sinodo delle Chiese del Medio oriente

di Fady Noun
Il vice-presidente della Conferenza episcopale e una delegazione di Caritas Usa in missione esplorativa nei Paesi del Medio oriente. Calo della popolazione, decadimento morale, emigrazione e crescita dell’islam i problemi da affrontare. I cristiani devono superare le divisioni e acquisire maggiore peso politico in patria e all’estero.
Beirut (AsiaNews) – “Una missione per indagare sui fatti”. È un semplice viaggio esplorativo quello effettuato in questi giorni dal vice-presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti in Libano e nella regione [Mediorientale], accompagnato dai responsabili di Catholic relief services (Crs), la Caritas americana. Di origini libanesi, mons. Gerard Kicanas (nella foto), ha prima trascorso cinque giorni nella sua terra natale. Sabato 9 gennaio ha visitato Israele, prima di spostarsi in Cisgiordania e Giordania, nel quadro della medesima missione, legata al prossimo Sinodo delle Chiese del Medio oriente in programma a Roma nell’ottobre 2010.
 
“Una missione per indagare sui fatti” rende meglio l’idea rispetto a “missione esplorativa”. L’espressione inglese “facts finding mission” lascia intendere che vi sono alcuni elementi da scoprire, che la verità non viene servita su un piatto d’argento, ma che dopo aver ascoltato, i membri della delegazione si faranno una idea personale di ciò che non funziona nel Libano di oggi. Eventualmente, essi leggeranno fra le righe, ascolteranno il non-detto. E, alla fine, l’avviso che essi si faranno assomiglierà più a un’analisi che a un dettato.
 
Quali sono le difficoltà con le quali si scontrano le comunità cristiane in Libano? Alcune si sono ripetute così di frequente che hanno finito per perdere il loro impatto, trasformandosi in luoghi comuni: la guerra, i palestinesi armati, l’arsenale di Hezbollah, le divisioni fra cristiani, la precarietà economica, la disoccupazione e il sotto-impiego, la crescita continua dell’islam nell’amministrazione e nell’esercito, la mancanza di una politica degli alloggi, l’emigrazione, il basso tasso di natalità, etc.
 
Il nunzio apostolico che giovedì 7 gennaio ha assistito all’incontro tra la delegazione americana e il sinodo dei vescovi maroniti, si diceva impressionato dalle cifre che emergevano dai documenti della Fondazione maronita nel mondo pubblicati il giorno prima dal quotidiano libanese L’Orient-Le Jour e che sono indicativi della diminuzione del numero delle comunità cristiane. Un compendio consegnato dai vescovi maroniti alla delegazione Usa mostra che dal 52% della popolazione totale, oggi i cristiani in Libano non superano il 35% e una parte lavora all’estero. Quanto al tasso di natalità delle famiglie cristiane, esso si attesta attorno all’1,8%.
 
Sono comprensibili, in questo quadro di numeri e fatti, le sole cause esogene della perdita di influenza dei cristiani? Il rischio è assai reale. Non che essi siano falsi, certo, ma non riflettono che una parte della verità, passando sotto silenzio la responsabilità dei cristiani stessi rispetto a ciò che accade loro, e che si riassume in una semplice constatazione: la condotta dei cristiani è spesso un’offesa al messaggio evangelico, e in alcuni casi meritano di non essere presi in considerazione.
 
Nel documento consegnato a mons. Kicanas, i vescovi maroniti fanno riferimento ad alcune cause endogene, ma si accontentano solo di accennarle. Si parla dunque di “società indebolita a livello morale”, senza definirne con precisione le cause, e di “divisioni interne e di dispute, nonostante tutti gli sforzi volti alla riconciliazione”. L’indebolimento morale delle comunità cristiane sarà al centro del messaggio per la quaresima del 2010, afferma il documento, il quale ricorda che questo tema è stato il cuore dell’Assemblea generale dei patriarchi e dei vescovi cattolici del Libano, che si è tenuto dal 9 al 14 dicembre scorso. Ciò che i vescovi non spiegano in maniera sufficientemente chiara, di contro, è proprio la responsabilità degli stessi cristiani nel “decadimento morale” dei cristiani. La guerra, beninteso, è passata da quelle parti, ma la portata distruttrice della “pace” si equivale, in alcuni momenti, a quella della guerra. E per capirlo, basta guardare i programmi televisivi, dove si può trovare una società che ha unito nello spettacolo, l’edonismo e il mercantilismo, che calpesta le sue ricchezze e chiede il suo cammino a chi la osserva.
 
Per risalire alle cause esterne delle nostre difficoltà, i vescovi non esitano a puntare il dito contro l’Occidente, anch’esso responsabile di ciò che accade ai cristiani nel mondo arabo, rilevando che esso ha maggiormente a cuore la sicurezza di Israele e le riserve di petrolio, piuttosto che il benessere degli arabi cristiani.
 
I vescovi annunciano anche che il Centro maronita per la documentazione e la ricerca terrà un seminario, il 22 gennaio 2010, per esaminare il modo di impedire che i beni dei cristiani colpiti da povertà improvvisa, non siano venduti a non-cristiani, trovando invece acquirenti all’interno della comunità.
 
“Alcuni vescovi parlano con veemenza” spiegava mons. Kicanas ai presenti. Il prelato puntava l’attenzione sul fatto che la politica del suo Paese è la risultante di un gioco sottile di influenze, che implicano tanto le istituzioni quanto le lobbies. Un gioco al quale i libanesi, e fra loro in particolar modo i cristiani, devono adattarsi, se essi vogliono davvero pesare su questo centro decisionale fondamentale per il loro avvenire, che sono gli Stati Uniti.
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