12/01/2004, 00.00
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Tokyo contro Pechino per l'oleodotto siberiano

di Maurizio D'Orlando

Nell'Asia assetata di petrolio si annuncia guerra fra Cina e Giappone per portarsi a casa il petrolio siberiano. Lo sviluppo dell'Estremo oriente è nelle mani di Putin e dell'America. Un esperto di economia e di petrolio commenta.

Cina ed il Giappone si stanno contendendo il petrolio dei giacimenti della Siberia orientale e Putin, per considerazioni politiche interne, sembra orientarsi a favore dei giapponesi: è quanto emerge da contatti avuti da AsiaNews a Mosca e da un articolo pubblicato il 9 gennaio sul Moscow Times. L'attuale aumento dei prezzi del greggio (il greggio inglese Brent è oggi a 31,37 dollari per barile contro quotazioni intorno ai 28 dollari al barile solo pochi giorni fa; il West Texas Intermediate americano è a 34,29 dollari al barile) mette in evidenza una delle debolezze strutturali della fenomenale espansione economica cinese: la scarsità di fonte energetiche interne e di materie prime. Questo problema è condiviso da tutti i paesi dell'estremo oriente e dura da tanto tempo. Sessant'anni fa il Giappone fu indotto a lanciare l'attacco di Pearl Harbor proprio dall'embargo sul petrolio e su altre materie prime decretato dal presidente Roosevelt pochi mesi prima. Oggi all'insaziabile fabbisogno di materie prime del Giappone, della Corea del Sud e di Taiwan si aggiunge quello della Cina in rapida e tumultuosa fase d'industrializzazione ed intenzionata a diventare la "fabbrica del mondo". Si calcola che nel 2005 la Cina sostituirà il Giappone quale secondo paese maggior consumatore al mondo di petrolio alle spalle degli Stati Uniti.

Data l'instabilità politica della regione mediorentale, tutti i paesi asiatici dell'estremo oriente desiderano ridurre la propria dipendenza dal greggio del Medio Oriente. L'alternativa più attraente è l'estremo oriente russo, le cui vaste risorse energetiche sono ancora poco sfruttate. Per sviluppare i giacimenti siberiani occorre spendere molti miliardi di dollari e programmare il trasporto del greggio verso i mercati di consumo: verso la Cina ed il suo cuore industriale, o verso un porto russo del Mar del Giappone? Da qui è nato uno scontro politico e finanziario.

Offensiva cinese

A muoversi per prima è stata la Cina. Yoichi Funabashi, influente editorialista del quotidiano economico giapponese Asahi Shimbun, ha scritto di recente: "Stiamo entrando in un'era in cui Giappone e Cina si accapiglieranno per il petrolio. La Cina agisce ed il Giappone reagisce. Al momento noi [giapponesi] stiamo perdendo la competizione petrolifera." In effetti la Cina si è mossa in Asia su tutti i fronti per assicurarsi non solo il greggio ma ogni genere di materia prima disponibile nell'area:

-         ha concordato la costruzione di un gasdotto dalla Siberia orientale a Shanghai su una di distanza di quasi 5 mila chilometri e con un costo preventivato di circa 17 miliardi di dollari;

-          ha finanziato un altro oleodotto in Kazakistan;

-          ha negoziato lo sviluppo di grandi giacimenti di gas naturale in Turkmenistan;

-          ha comperato in Australia ed in Indonesia giacimenti di gas e da tali paesi ha concordato forniture di lunghissimo termine di gas liquefatto;

-          ha finanziato miniere di carbone e di rame in Mongolia ed ha acquistato acciaio in Corea del Sud con contratti a lungo termine.

Anche per assicurarsi il greggio dai giacimenti della Siberia orientale la Cina si è mossa con grande decisione ed in largo anticipo avendo per un decennio discusso con i russi i dettagli del relativo oleodotto. In riferimento a questo flusso futuro di approvvigionamenti, il presidente Hu Jintao pensava di aver finalmente chiuso la partita nel corso della sua visita a Mosca lo scorso maggio quando aveva firmato un comunicato congiunto con Putin in cui si sosteneva il tracciato dell'oleodotto verso la Cina. Nel corso della medesima visita ufficiale la compagnia petrolifera statale cinese aveva peraltro firmato un accordo ventennale di fornitura con la Yukos del valore di 150 milioni di dollari. Da quando però il 25 ottobre scorso il patron della Yukos Mikhail Khodorkovsky è stato arrestato con l'accusa di evasione fiscale e di frode e soprattutto da quando è stato rivelato che egli avrebbe ceduto a Rothschild il maggior gruppo petrolifero russo mediante un'opzione di vendita antedatata considerata illegale o quanto meno sospetta, è venuto a mancare un importante sostenitore russo di un tracciato diretto verso la Cina dell'oleodotto siberiano.

I vantaggi del Giappone

A Mosca i venti politici hanno pertanto preso a spirare a favore del Sol Levante ed il Giappone è rientrato in gioco, recuperando il tempo perso. I governatori regionali della Siberia orientale hanno subito iniziato a spingere a favore del percorso che porta in direzione di capo Krylova, nella municipalità di Nakhodka, dove termina la ferrovia Transiberiana e dove è in costruzione un porto profondo per superpetroliere fino a 300 mila tonnellate di portata. Il porto, che potrebbe divenire operativo a breve, è progettato per ricevere cisterne ferroviarie ma potrà vedere esaltato il proprio ruolo, con relativo consistente lucro addizionale di diritti di transito e portuali, nel caso Mosca decida di orientare verso il Giappone il tracciato del nuovo oleodotto siberiano.

Dal punto di vista economico il tracciato proposto dai cinesi e dalla Yukos offre indubbi vantaggi: è più breve, più rapido da realizzare e costa meno. Esso è infatti lungo 2.250 chilometri, costa 2,8 miliardi di dollari e la sua costruzione è prevista in 7 anni.. Il tracciato che porta a capo Krylova per far arrivare il greggio in Giappone, sarebbe lungo 3.700 chilometri, costerebbe 5,8 miliardi di dollari e verrebbe completato in 10 anni. L'oleodotto proposto dai giapponesi avrebbe una maggiore portata, un milione di barili al giorno contro 600 mila , ma molti russi a partire da Putin si chiedono se mai i giacimenti della Siberia orientale possano essere in grado di usufruire di tale portata. Secondo il Moscow Times, quanti a Mosca sostengono il tragitto verso la Cina fanno presente che l'interdipendenza che legherebbe la Cina e la Russia avrebbe positivi effetti per la stabilità regionale sul modello di quanto avviene per le forniture petrolifere canadesi agli Stati Uniti. Il Moscow Times afferma che qualsiasi decisione al riguardo è comunque nelle mani di Putin.

Risentimento anti-ebraico

Secondo alcuni esperti petroliferi occidentali contattati a Mosca da Asianews, Putin potrebbe invece deludere i cinesi e privilegiare i giapponesi non tanto perché questi ultimi sembra abbiano offerto di pagare di più il greggio, ma proprio per spiazzare la Yukos. A tale proposito è bene ricordare che a Mosca è in atto un acceso scontro che vede Putin, con il suo entourage, contrapposto alla lobby degli oligarchi che all'epoca di Eltsin si era accaparrata le maggiori risorse naturali russe con il sostegno di alcuni dei maggiori gruppi finanziari di Nuova York. Pur di prevalere su tale lobby, comunemente conosciuta in Russia come "la lobby ebraica" (Gusinski, Abramovich, Goldowski, Khodorkovsky solo per citarne alcuni dei maggiori esponenti) Putin sarebbe pronto a scontentare molti all'estero, accrescendo il consenso all'interno della Russia.

Il risentimento russo contro tale lobby ebraica è infatti molto diffuso, a causa di una serie di frodi nel periodo seguente al crollo del regime comunista. Molti russi vedono in Putin il paladino che sta cercando di liberare la Russia da una cupola mafiosa strettamente collegata con interessi stranieri e certamente non aiuta il fatto che molti di questi oligarchi abbiano preso il passaporto di Israele. Rispuntano dunque antichi fantasmi e dietro le ingannevoli apparenze delle aperture all'Occidente i russi riscoprono il nazionalismo di chi per anni si è sentito accerchiato da potenziali nemici vogliosi solo di depredare le immense ricchezze della loro terra e che all'Occidente imputa la sventura della dittatura comunista.

Seppure inespresso, in Russia il risentimento antiebraico ed antioccidentale è profondo e radicato.

Hu Jintao, legandosi al carro fino ad ieri vincente della Yukos di Khodorkovsky ha inconsapevolmente toccato una vecchia e non del tutto rimarginata piaga russa. Se per l'oleodotto della Siberia Putin sceglierà il tragitto diretto in Giappone non sarà perché non è informato sul declino del Giappone e sulla crescente preminenza cinese, in Asia ma per la semplice ragione che altrimenti finirebbe per favorire un ulteriore rafforzamento della Yukos, la maggiore compagnia petrolifera russa, controllata da un Rothschild, evocando così nell'opinione pubblica russa spiacevoli spettri. Ad ogni modo, qualsiasi decisione di Putin sarà significativa per lo sviluppo a lungo termine dell'Estremo Oriente asiatico.

Curiosamente, le chiavi di tale sviluppo sono ancora in mano ai due imperi della ex-guerra fredda: quello americano, che controlla l'Iraq il Golfo Persico,  e quello russo che controlla la Siberia.

 

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