01/08/2017, 11.40
RUSSIA-VATICANO
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Tornano a Bari le reliquie di san Nicola, nell’anniversario del ‘Grande Terrore’ di Stalin

di Vladimir Rozanskij

In due mesi si sono accostati alla reliquia 2,5 milioni di pellegrini, facendo fino a 12 ore di coda, sotto pioggia, vento e caldo. Il patriarca Kirill ringrazia papa Francesco: la costola di san Nicola più efficace della diplomazia. Stalin ha sfruttato la Chiesa ortodossa per il suo “culto della personalità”.  Il “tritacarne” dei gulag e la “memoria condivisa”.

Mosca (AsiaNews) - Lo scorso 28 luglio, salutando la sacra reliquia di S. Nicola che lasciava la Russia per far ritorno alla cattedrale di Bari, il patriarca russo Kirill (Gundjaev) ha rimarcato che la visita della sacra spoglia del santo è stata particolarmente provvidenziale, nell’anno centenario della grande tormenta rivoluzionaria (la rivoluzione bolscevica del 1917). Durante l’omelia alla liturgia solenne nella chiesa della SS. Trinità della Lavra di s. Aleksandr Nevskij, da cui è ripartita l’arca con la costola di s. Nicola, il patriarca ha sottolineato che “nessuno aveva preparato appositamente tale evento per il centenario”.

In due mesi si sono accostati alla reliquia 2,5 milioni di pellegrini, e come ha specificato Kirill, “l’importante non è il loro numero, ma il fatto che uomini moderni in un paese contemporaneo non soltanto hanno voluto onorare una reliquia, ma hanno sopportato fino a 12 ore di coda, rimanendo anche sotto il vento e la pioggia, senza un accenno di lamento”.

Il 28 luglio, inoltre, la partenza della reliquia ha coinciso con il giorno della commemorazione del Battesimo della Rus’ di Kiev, che nel 988 diede inizio alla storia cristiana dei popoli slavi orientali. Il patriarca, che porta il titolo “di tutte le Russie”, ha voluto pregare “per il nostro popolo e per i Paesi che fanno parte della missione pastorale della Chiesa Ortodossa Russa. Preghiamo per l’Ucraina, affinché cessino le lotte intestine, affinché il rancore e l’odio abbandonino la vita del benedetto popolo ucraino”.

Il capo degli ortodossi russi ha voluto anche ringraziare papa Francesco, grazie al quale è stata possibile la visita della reliquia a Mosca e San Pietroburgo. Secondo le sue parole, la presenza della sacra spoglia “ha fatto per la riconciliazione dell’Oriente e dell’Occidente quello che non è mai riuscita a fare alcuna diplomazia”.

In effetti, in questo contesto la diplomazia risulta essere una conseguenza, più che una premessa del grande evento che si è celebrato. Come già annunciato da settimane, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, in agosto si recherà a Mosca in visita ufficiale, dove è in programma anche un incontro con il presidente Putin. Nelle interviste rilasciate nei giorni scorsi, il cardinale ha ricordato la lunga storia dei tentativi vaticani di mantenere un rapporto costruttivo con la Russia e i vari regimi che in essa si sono succeduti.

Sorvolando sulla delicata Ostpolitik della Santa Sede con i sovietici nella seconda metà dello scorso secolo, Parolin ha ricordato l’episodio di quando lo stesso zar Nicola I si recò in visita a Roma nel 1845. In quella circostanza, il monarca russo si trovava in Italia per ragioni di famiglia (la moglie si stava curando in Sicilia), e volle vedere Gregorio XVI per implorarlo a non cedere alle tentazioni liberali che serpeggiavano allora in Europa, e sarebbero esplose con i moti del 1848. Lo zar temeva per il futuro del principio di autocrazia e per la sua giustificazione sacrale, e la figura del papa-re gli pareva indispensabile. Anche oggi gli Stati sono in crisi d’identità nel mondo globalizzato, e la nuova “santa Russia” cerca nel Vaticano un autorevole alleato contro la degradazione morale della società contemporanea.

Stalin e il culto della personalità

Altri tristi anniversari si allineano alla memoria della tragedia rivoluzionaria, e ammoniscono a non trascurare le possibili conseguenze delle drammatiche relazioni tra il trono e l’altare, che hanno funestato la Russia nel secolo scorso. A fine luglio del 1927, esattamente 90 anni fa, l’ultimo metropolita russo rimasto in libertà dopo le prime ondate di persecuzione firmò una dichiarazione di lealtà al regime sovietico. Il metropolita di Nizhnij Novgorod, Sergij (Stragorodskij), era l’ultimo della lista dei “luogotenenti patriarcali”, e attendeva anch’egli la possibile incarcerazione. Dopo la scomparsa del patriarca Tikhon (Bellavin), eletto durante il Concilio del 1917 dopo 200 anni di sospensione dell’istituto patriarcale, la Chiesa russa sembrava ormai destinata alla definitiva scomparsa nell’inferno del Gulag. Sergij, che nel 1944 Stalin fece nominare patriarca, decise di sottomettersi, nonostante le proteste di tutti gli altri vescovi incarcerati, e da allora la Chiesa russa cercò di sopravvivere mettendosi al servizio del regime ateista.

Stalin stesso non si limitò a sfruttare lo spirito patriottico del cristianesimo russo, che gli serviva per resistere all’invasione nazista, ma usò la Chiesa per dare di nuovo un’aura di sacralità al suo potere personale. Ciò che gli storici hanno chiamato il “culto della personalità” non fu altro che una riedizione del sogno della divinizzazione dell’autocrate, che si ripropone in varie salse dai tempi di Giulio Cesare. Forte del sostegno della religione e dell’ideologia, proprio alla fine di luglio del 1937 il dittatore georgiano diede origine alle “purghe” che costituirono il Grande Terrore del 1937-38, quando i lager divennero quell’Arcipelago denunciato poi dai dissidenti, il “tritacarne” in cui finirono decine di milioni di persone. Anche questa data, 80 anni dopo, contribuisce a fare della “memoria condivisa” un indispensabile fondamento per costruire insieme un secolo nuovo, che vinca ovunque l’odio e il  rancore, come suggerito dal patriarca Kirill.

 

Foto 2: La stele memoriale di Sandormokh (Carelia), nel bosco delle fucilazioni di massa dei prigionieri del lager delle isole Solovki. Fra questi vi erano numerosi vescovi e sacerdoti ortodossi e cattolici. La scritta recita: Uomini, non uccidetevi l’un l’altro.

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