14/07/2023, 10.00
COREA DEL NORD-COREA DEL SUD
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Una fuga lunga settant'anni da Pyongyang a Seoul

di Alessandra Tamponi

La rotta settentrionale che passa dalla Cina per poi arrivare a Seoul via Mongolia o dal Sud-est asiatico ha rappresentato per migliaia di richiedenti asilo l'unica possibilità. Dalla fine degli anni Novanta in 33mila sono riusciti a raggiungere la Corea del Sud. Ma la pandemia ha stretto le maglie. E decine di migliaia di nord-coreani che si trovano in territorio cinese temono che la riapertura dei confini con Pechino sia l'anticamera del rimpatrio. 

Milano (AsiaNews) - Il fenomeno della migrazione tra le due Coree ha caratterizzato la storia della penisola fin dalla sua divisione, di cui il prossimo 27 luglio ricorrono i 70 anni. Tuttavia, è dagli anni Novanta che la migrazione dal Nord al Sud ha vissuto la sua svolta, assumendo quella connotazione umanitaria che ha oggi. La Corea del Nord è sopravvissuta al crollo dell’Unione Sovietica e al crollo del blocco comunista, ma le conseguenze per il Paese si sono rivelate devastanti. La massiccia deforestazione, conseguenza della necessità di velocizzare sia il processo di industrializzazione sia la creazione di nuove terre coltivabili, ha lasciato il Paese in uno stato di profonda vulnerabilità. I nord-coreani che hanno deciso di lasciare il loro Paese dagli anni Novanta in poi lo hanno fatto per motivi umanitari, legati alla fame, alla ricerca di migliori condizioni economiche e con la speranza di sfuggire alle persecuzioni politiche. Secondo il ministero della Riunificazione della Corea del Sud tra il 1998 e il 2023 sono stati oltre 33mila i nord-coreani che sono riusciti ad arrivare in Corea del Sud.

Migrare da Nord a Sud presenta innumerevoli rischi. Le severe leggi sulla libertà di movimento in vigore in Corea del Nord rendono illegali gli spostamenti non autorizzati, quelli nazionali così come quelli internazionali, rendendo così necessario il coinvolgimento di “intermediari” per la fuga che spesso richiedono tariffe altissime - anche fino a 15mila dollari - aumentando il rischio di finire nelle mani di trafficanti di esseri umani. Tra le vittime vi sono soprattutto donne e ragazze alla ricerca di una condizione economica migliore, che spesso restano vittime del traffico di esseri umani legato soprattutto all’industria del sesso.

Alcuni dei rischi legati all’abbandono del Paese sono aumentati durante la pandemia. Secondo una recente inchiesta della Reuters la rotta settentrionale per uscire dal Paese è oggi compromessa. Il governo della Corea del Nord avrebbe infatti sfruttato la pandemia per rafforzare il suo controllo del confine con la Cina, che per via dell’impossibilità di attraversare la zona demilitarizzata al 38° parallelo ed entrare direttamente in Corea del Sud aveva rappresentato fino ad oggi la via più sicura per lasciare il Nord. Secondo i dati del ministero della Riunificazione solo 67 nord-coreani sono riusciti a raggiungere il Sud nel 2022, un numero esiguo rispetto agli oltre mille del 2019.

Alle nuove difficoltà legate all’attraversamento del confine, la fine della pandemia aggiunge un rinnovato timore: quello dei rimpatri forzati. Dopo tre anni di lockdown la Corea del Nord starebbe infatti pianificando la riapertura dei suoi confini, che era stata già ipotizzata per il giugno 2023. La riapertura gioca un ruolo chiave nella sicurezza dei rifugiati perché renderebbe nuovamente possibile i rimpatri forzati dalla Cina. Sebbene ai nord-coreani venga garantito lo status di rifugiati a livello internazionale - facilitandone il loro ingresso in Corea del Sud, che riconosce come suoi cittadini tutti i coreani della penisola - in Cina quanti lasciano il Nord non godono di questo statuto.

Eppure la Cina rappresenta la prima tappa per chi vuole fuggire da Pyongyang: dal territorio cinese, infatti, è possibile raggiungere sia i Paesi del Sud Est Asiatico sia la Mongolia, che generalmente inviano in Corea del Sud i rifugiati identificati. Per via degli accordi con la Corea del Nord Pechino non permette all’agenzia dell’Onu per i rifugiati di esercitare il suo mandato, scegliendo il rimpatrio forzato per quanti identifica nel suo territorio. E il rischio di cattura oggi è aumentato anche grazie all’utilizzo dell'intelligenza articificale per l’identificazione facciale.

La Cina non rilascia informazioni sui nord-coreani presenti sul suo territorio, e i rifugiati nel Paese vivono in clandestinità, senza documenti, senza accesso all’assistenza sanitaria e vulnerabili al traffico di esseri umani. La clandestinità da un lato e la mancanza di collaborazione delle autorità di Pechino dall’altro rendono estremamente complesso comprendere esattamente quanti nord-coreani si trovino oggi nel Paese. Tuttavia secondo alcune stime condivise da Radio Free Asia, ad oggi in Cina risiederebbero almeno 60mila nord-coreani non registrati, di cui almeno 2mila attualmente detenuti e a rischio rimpatrio.

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