27/11/2012, 00.00
INDIA – TERRA SANTA
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Vescovi indiani: Sì alla creazione di uno Stato palestinese indipendente

di Santosh Digal
L’Ufficio giustizia, pace e sviluppo della Conferenza episcopale (Cbci) lancia un appello al ministro indiano per gli Esteri. Il prossimo 29 novembre si voterà all’Onu per il riconoscimento della Palestina come Stato non-membro. Per i leader cattolici gli insediamenti israeliani in Cisgiordania “sono illegali”.

New Delhi (AsiaNews) - Sostenere il voto all'Assemblea generale dell'Onu per il riconoscimento della Palestina come Stato non-membro e confermare che insediamenti israeliani nei territori palestinesi sono illegali. È quanto chiede l'Ufficio giustizia, pace e sviluppo della Conferenza episcopale indiana (Cbci) in un appello lanciato a Salman Khurshid, ministro indiano degli Affari esteri, in previsione del voto all'Onu sulla Palestina. Nella lettera, p. Charles Irudayam, segretario dell'Ufficio, definisce "incoraggiante" sapere che "l'India ha rinnovato il proprio solido sostegno alla lotta del popolo palestinese per uno Stato sovrano, indipendente, produttivo e unito; con Gerusalemme est come sua capitale; entro confini sicuri e riconosciuti; in pace con Israele".

Il voto all'Onu è previsto per il 29 novembre, Giornata internazionale per la solidarietà con la Palestina e anniversario dell'accettazione del Piano di partizione del 1947. Esso prevedeva la creazione di uno Stato arabo e uno ebraico.

L'Ufficio giustizia, pace e sviluppo - che fa parte del movimento internazionale cattolico Pax Christi - sottolinea: "Gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, inclusi quelli a Gerusalemme Est, sono stati dichiarati illegali secondo le leggi internazionali. La comunità internazionale ha il compito di garantire che Israele rispetti le leggi umane internazionali. Nel suo parere sul muro (2004), la Corte internazionale di giustizia dell'Aia aveva riconfermato l'illegalità degli insediamenti israeliani, e sottolineava che i membri della comunità internazionale hanno la 'responsabilità di non riconoscerli'". Queste colonie, aggiungono i vescovi indiani, "hanno permesso a mezzo milione di cittadini israeliani di vivere nei territori palestinesi occupati e ostruire in modo sistematico la soluzione dei due Stati, con uno Stato palestinese indipendente in Cisgiordania con Gerusalemme est [come capitale]. Una soluzione che l'India ha sempre sostenuto". Inoltre, notano i leader cattolici, oltre il 43% dei terreni della Cisgiordania, insieme a gran parte delle risorse idriche e naturali, sono state confiscate ai palestinesi e "date" alle colonie.

In attesa del voto del 29, Israele gioca le sue carte sul fronte diplomatico. Tel Aviv infatti teme che un riconoscimento della Palestina come Stato non membro permetterebbe all'Ap di domandare l'entrata come membro nella Corte internazionale dell'Aia. In tal modo, l'Ap potrebbe aprire contro Israele processi  per crimini di guerra o contro le costruzioni di colonie nei territori occupati. Israele non è membro del Tribunale internazionale; ciò significa che ogni decisione di quest'ultimo non obbliga Israele. Ma una serie di processi contro il Paese o personalità politiche israeliane potrebbe incrementare boicottaggi o veto sulle importazioni delle produzioni dalle colonie israeliane illegali.

In effetti, tra le richieste dell'Ufficio giustizia, pace e sviluppo della Conferenza episcopale indiana vi sono quelle di ritirare il sostegno alle imprese israeliane sorte nei territori occupati e boicottare le produzioni nelle colonie illegali. 

 

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