12/05/2011, 00.00
INDIA
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Orissa: ancora senza giustizia i cristiani vittime delle violenze del 2008

di John Dayal
Su oltre 3mila denunce penali presentate, solo 327 casi sono arrivati davanti a un giudice. Un totale di 1.597 assoluzioni. A quasi tre anni dai pogrom anticristiani, i processi procedono all’insegna di irregolarità di ogni tipo.
Mumbai (AsiaNews) – Una sola condanna per omicidio ogni 20 casi registrati delle brutali violenze contro i cristiani di Kandhamal (Orissa) da parte di radicali indù, tra l’agosto e l’ottobre del 2008. In totale, delle 3.232 denunce penali presentate, solo 828 sono state convertite in deposizioni vere e proprie (First Information Reports - Firs). Poi, un’ulteriore scrematura, con 327 casi arrivati davanti a un giudice: in 169 casi ha assolto in pieno gli imputati; in 86 ha emesso le condanne, ma solo per le imputazioni minori. Altri 90 casi attendono ancora l’esame in tribunale. Secondo dati ufficiali, 1.597 indagati sarebbero stati prosciolti. Il numero, comunque elevato, non include le migliaia di persone che non potevano essere arrestate e dunque non portate in giudizio.

A quasi 3 anni dai fatti, e dopo due Fast Track Courts (i tribunali speciali che dovrebbero giudicare con rito abbreviato) l’applicazione della giustizia continua a essere disattesa. Anche quando le loro denunce arrivano in tribunale, le vittime cristiane subiscono soprusi di ogni tipo: dalla presentazione del caso all’esame dei testimoni, dalla presenza intimidatoria in aula dei sicari del “Sangh” [il Rashtriya Swayamsevak Sangh, organizzazione paramilitare indù e ultranazionalista, ndR], dal comportamento dei giudici a quello degli avvocati della difesa, tutto è investito di anomalie e irregolarità.

I legali delle vittime non hanno ruolo in tribunale, e solo in rarissime occasioni ottengono di essere ascoltati. I parenti di chi è morto e i testimoni possono a malapena deporre le loro testimonianze, a causa delle aperte minacce subite. Se la gente prova a rivolgersi ai giudici per chiedere il loro aiuto, questi rispondono “abbiamo inviato le disposizioni alla polizia”, che non dà mai una risposta. Anche i video e le foto dell’epoca, ripresi con telecamere e telefoni cellulari, non vengono esaminati, né nelle inchieste, né nei processi. Ad oggi, la polizia e la Direzione del pubblico ministero non hanno neppure provato a riaprire o aggiornare i casi.

Le violenze esplose il 24 agosto 2008 hanno gravato sull’India con un’eredità pesante. Oltre 14 distretti sui 30 dello Stato dell’Orissa sono stati colpiti. Seimila case bruciate in 400 villaggi, incluse 296 chiese e altri centri cristiani più piccoli; più di 56mila persone diventate “sfollati interni” (Idps – Internally Displaced People), circa 30mila di loro hanno vissuto per tre mesi in campi profughi governativi. In quel periodo, oltre 20mila uomini, donne e bambini si sono nascosti per giorni nelle foreste. 10mila persone devono ancora tornare a casa. Almeno 1.000 cristiani hanno subito minacce e intimidazioni dai loro vicini: questi ammettono il loro rientro a casa solo se accettano di convertirsi all’induismo. Le autorità del distretto, del tutto impotenti nel farli ritornare nei loro villaggi d’origine, hanno relegato alcuni nei cosiddetti “ghetti cristiani”. Molti altri hanno lasciato Kandhamal per paura, o in cerca di lavoro; dai pogrom del 2008, il distretto affronta ancora una profonda impasse economica.

Il governo dell’Orissa riconosce e ammette 52 morti a Kandhamal durante le violenze del 2007 e del 2008. Di questi, 38 sono cristiani. Tra gli indù, anche lo Swami Lakshmananda Saraswati, vice presidente del Visva Hindu Parisad (Vhp), dal cui assassinio per mano di maoisti sono poi scaturite le violenze nell’agosto 2008. I dati raccolti da attivisti cristiani parlano invece di 91 vittime: 38 morte sul colpo, 41 per ferite subite durante le violenze, 12 in azioni di polizia. Tali cifre non includono i casi di suicidio, compresi quelli derivanti da una sindrome post trauma. Essa ha colpito giovani e anziani, colpiti dalle violenze cui hanno assistito, o abbrutiti dagli anni vissuti nei campi profughi e negli slum.
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