22/07/2020, 15.44
VATICANO
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​Vaticano: contro il Covid-19 serve una ‘etica del rischio’

La Pontificia accademia per la vita chiede solidarietà di fronte alla pandemia. “Questo virus è il risultato, più che la causa, dell’avidità finanziaria, dell’accondiscendenza verso stili di vita definiti dal consumo e dall’eccesso”. “Risulta chiaro che la pandemia sta peggiorando le disuguaglianze proprie dei processi di globalizzazione, rendendo sempre più persone vulnerabili ed emarginate senza assistenza sanitaria, lavoro e ammortizzatori sociali”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Sviluppare una “etica del rischio”, perché a fronte della consapevolezza che “tutti noi possiamo soccombere sotto i colpi della malattia”, della guerra, di disastri, “emergono delle responsabilità etiche e politiche molto specifiche nei confronti della vulnerabilità di individui e gruppi di persone che sono a maggior rischio per la loro salute, vita e dignità”. E’ una “conversione” alla responsabilità e alla solidarietà anche internazionale quella che, secondo la Pontificia accademia per la vita, chiede la pandemia di Civd-19 che sta colpendo il mondo, senza badare a confini e ordinamenti politici.

Intitolato “L’Humana communitas nell’era della pandemia. Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita”:, il documento parte dalla rilevazione della “fragilità” di persone e gruppi evidenziata dalla pandemia. “Il Covid-19 è la manifestazione più recente della globalizzazione”, con il virus ci siamo trovati a condividere un’esperienza comune che “non risparmiando nessuno, la pandemia ci ha resi tutti parimenti vulnerabili, tutti ugualmente esposti. Tale consapevolezza è stata raggiunta a un caro prezzo”. “La lezione della fragilità”, prosegue il documento, tocca tutti, ma soprattutto i ricoverati in ospedale, i detenuti in carcere, i rifugiati nei campi profughi.

“Il fenomeno del Covid-19 non è solo il risultato di avvenimenti naturali. Ciò che avviene in natura è già il risultato di una complessa interazione con il mondo umano delle scelte economiche e dei modelli di sviluppo”. “Questo virus è il risultato, più che la causa, dell’avidità finanziaria, dell’accondiscendenza verso stili di vita definiti dal consumo e dall’eccesso”. E ancora: la pandemia ci ha fatto capire che tutto è connesso e che “la depredazione della terra”, le scelte economiche improntate all’avidità e all’eccesso dei consumi, “la prevaricazione e il disprezzo della creazione” hanno avuto conseguenze anche sulla diffusione del virus.

Conseguenze terribili nei Paesi poveri, che hanno pagato “il prezzo più alto” perché di per sé già privi di risorse basilari e spesso flagellati da altre patologie letali, tra cui malaria e tubercolosi. Ancora: “le traversie del mondo ‘sviluppato’ appaiono piuttosto come un lusso: solo nei paesi ricchi le persone possono permettersi di rispettare i requisiti di sicurezza. In quelli meno fortunati, d’altra parte, il ‘distanziamento fisico’ è semplicemente impossibile a causa delle necessità e delle circostanze tragiche: ambienti affollati e impraticabilità di un distanziamento sostenibile costituiscono per intere popolazioni un ostacolo insormontabile. Il contrasto tra le due situazioni mette in luce un paradosso stridente, che, ancora una volta, racconta la storia della sproporzione di benessere tra Paesi ricchi e poveri”. “Risulta chiaro che la pandemia sta peggiorando le disuguaglianze proprie dei processi di globalizzazione, rendendo sempre più persone vulnerabili ed emarginate senza assistenza sanitaria, lavoro e ammortizzatori sociali”.

La “comune vulnerabilità” e le responsabilità specifiche nei confronti delle persone la cui salute, vita e dignità corrono maggiori rischi richiedono cooperazione nazionale e internazionale, nella consapevolezza che “non è possibile tenere testa a una pandemia senza un’adeguata infrastruttura sanitaria, accessibile a tutti a livello globale. Né tantomeno, le traversie di un popolo, all’improvviso contagiato, possono essere affrontate in isolamento, senza stipulare accordi internazionali e con una moltitudine di attori diversi. La condivisione di informazioni, la fornitura di aiuti, l’allocazione delle scarse risorse sono temi che dovranno tutti essere affrontati in una sinergia di sforzi”, in un’ottica che riconosca come “diritto umano universale”, “l’accesso ad un’assistenza sanitaria di qualità e ai farmaci essenziali”.

“In ultima analisi, la vera questione attuale affrontata dalla famiglia umana è il significato morale e non meramente strategico di solidarietà. La solidarietà implica la responsabilità verso l’altro che vive nel bisogno, ed è radicata nel riconoscere che, in quanto essere umano dotato di dignità, ogni persona è un fine in se stesso, non un mezzo”.

In tale ottica, si auspica una “ricerca scientifica responsabile”, ovvero integra, libera da conflitti di interesse e improntata a regole di uguaglianza, libertà ed equità. “Il bene della società e il bene comune nel settore sanitario vengono prima di qualsiasi interesse per il profitto”. Di qui anche la sottolineatura dell’importanza dell’Organizzazione mondiale della sanità, così da sostenere soprattutto “i bisogni e le preoccupazioni dei Paesi meno sviluppati nell’affrontare una catastrofe senza precedenti”.

Infine se l ricerca di un vaccino deve superare le frontiere, la sua distribuzione “non appena disponibile in futuro, è un caso emblematico. L’unico obiettivo accettabile, coerente con un’equa fornitura del vaccino, è l’accesso a tutti, senza eccezione alcuna”.

“È tempo – conclude il documento – di immaginare e attuare un progetto di coesistenza umana che consenta un futuro migliore” per tutti. (FP)

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